È stata un’estate (non ancora terminata) di grandissimo lavoro per i ristoranti italiani. Presi d’assalto in ogni luogo, anche nelle grandi città turistiche che stavano scontando i danni più grandi provocati dal Covid. Un flusso di persone tale che, a volte, l’offerta non risultava adeguata alla richiesta: in testa i problemi del personale, poi le difficoltà logistiche nel reperire materie prime che rendevano necessari cambi di menu all’ultimo momento. In ogni caso una stagione, pur con queste difficoltà che hanno portato malessere a quei ristoratori abituati a un servizio sempre eccellente, ottima!
Degna di un’Italia capace di reagire, di risorgere, sempre, ad ogni difficoltà. Sta in questo la forza del Paese, anche in una situazione dove la politica sta dando il peggio di sé.
In questo contesto, pensando a quanta mole di lavoro hanno avuto le persone che lavorano in un ristorante e in qualsiasi altro locale pubblico, che si tratti di titolari o di dipendenti poco importa, mi vengono in mente le loro famiglie. Questo è un mestiere che lascia poco, troppo poco, spazio alla vita, agli affetti, a gesti quotidiani come cenare insieme la sera, con la propria famiglia.
Ho pensato spesso a questa cosa mentre mi trovavo a cena in uno dei tanti ristoranti frequentati quest’estate nelle diverse parti d’Italia. Pensavo alle mogli, ai mariti, ai figli che vivevano quella mancanza tutte le sere e, di fronte a questo, mi chiedevo che senso avesse subire la lamentela del vicino di tavolo per l’inezia di cinque minuti di ritardo nel prendere la comanda o nel portare il piatto.
Stiamo davvero precipitando verso una società dell’egoismo, dell’individualità fine a sé stessa. Non abbiamo più neppure la pazienza di portare pazienza per delle inezie rispetto alla vita.
Ma questo pensiero mi portava a riflettere anche sulla necessità di dare nuove regole a questa professione, se vogliamo che continui ad esistere per dare a tutti noi un momento di gioia inconfutabile. E le nuove regole significano almeno due giorni di riposo per chi lavora in un ristorante, un solo turno di lavoro e non due in una giornata, cambiare il modo di accogliere nelle chiese laiche in cui si sono trasformati certi ristoranti che, al posto della gioia, mettono a dura prova la nostra resistenza intellettuale, favorire il ruolo dell’oste di cui si parla in questo numero della rivista, trattare i dipendenti come il più importante patrimonio dell’azienda.
Sono solo alcuni suggerimenti per fare in modo che parlare di qualità della vita non sia più un tabù nella ristorazione.
In questo modo la prossima estate anche gli ospiti valuteranno nel migliore dei modi il loro bisogno di vivere quell’esperienza che solo la cucina e l’accoglienza italiana sanno trasmettere.
Non sprechiamo tempo, facciamo le formiche e non le cicale nei prossimi mesi; il fieno in cascina c’è grazie ad una stagione fertile, ora mettiamoci tutti a pensare al meglio per questo settore.
La ristorazione è importante per l’Italia, facciamo in modo che gli venga riconosciuto questo ruolo da parte di tutti: istituzioni politiche ed economiche, turisti, persone comuni.
Solo così avremo anche famiglie più felici!