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Caso falso pomodoro come riconoscere made in Italy

29/11/2010

Caso falso pomodoro come riconoscere made in Italy
Caso falso pomodoro come riconoscere made in Italy
La recente notizia di un maxisequestro di falso pomodoro "made in Italy” ad Angri, in provincia di Salerno, ci riporta ai frequenti scandali che mettono a rischio l’immagine agroalimentare nazionale. Si è trattato di 4.607 quintali di doppio concentrato di pomodoro proveniente dalla Cina, pari a 931.978 barattoli da 150 grammi ciascuno, per un valore complessivo di circa 400mila euro. L’ipotesi di reato riguarda l’etichettatura del prodotto finito, che recava, in varie lingue, la scritta "prodotto in Italia".
Ma in questo caso, il prodotto sequestrato – hanno spiegato gli investigatori – configurava una lavorazione parziale e non significativamente idonea a conferire l’origine italiana al prodotto.
Un danno per oltre 50 miliardi di euro

L’ORIGINE DEL FALSO

Un vero e proprio baillamme il caso del pomodoro e di altri prodotti agroalimentari come la carne di maiale, i salumi, la carne di pecora e coniglio, la pasta, il latte ad alta conservazione, per i quali la normativa vigente in materia di tracciabilità, nei conte- nitori al dettaglio non obbliga di indicare il luogo e le informazioni relative ai fornitori di materia prima, ma solo quelli di confezionamento. Per cui, se il pomodoro che proviene dalla Cina o la pasta che proviene dalla Grecia o da altra nazione straniera è trasformato o confezionato in Italia, può recare la scritta “made in Italy”. Nel caso specifico del pomodoro fa eccezione la passata, per la quale invece vige l’obbligo di indicarne anche la provenienza. In Italia le importazioni di concentrato di pomodoro dalla Cina sono praticamente quadruplicate (+272 %) negli ultimi dieci anni e rappresentano oggi la prima voce delle importazioni agroalimentari dal gigante asiatico. Dalle navi - denuncia la Coldiretti, la prima a sostenere la linea dell’etichettatura obbligatoria - sbarcano fusti di oltre 200 chili di peso con concentrato da rilavorare e confezionare come italiano.

Paolo De Castro, l’unico organismo legittimato

 

 

I CONTENUTI DELLA LEGGE
Caso falso pomodoro come riconoscere made in Italy
Ecco perché un disegno di legge, da poco approvato alla Camera, che però dovrà passare al vaglio del Senato e poi della commissione europea, estende l’etichettatura d’origine a tutti gli alimenti offrirebbe finalmente una solida garanzia ai consumatori e agli agricoltori italiani di vedere così valorizzate le loro produzioni. Il testo prevede anche che l’origine degli alimenti non potrà essere omessa anche nella comunicazione commerciale, per non indurre in errore il consumatore. In pratica, non si potrà più far pubblicità al succo di arancia sfruttando le immagini della Sicilia utilizzando frutta proveniente dal Brasile o alle mozzarelle provenienti dalla Germania con le immagini del Golfo di Napoli se provengono dalla Germania come è successo per quella diventata blu.
Nel frattempo giungono buone notizie anche da Strasburgo. Nei mesi scorsi il parlamento europeo si è dichiarato a favore dell’etichettatura e dall’ultimo Salone del Gusto di Torino giungono rassicurazioni da parte di Dacian Ciolo, commissario europeo all’agricoltura, che nel prossimo Consiglio dei Ministri dell’UE fissato per il prossimo 8 dicembre avanzerà una proposta di legge europea sull’etichettatura.

FAVOREVOLI E CONTRARI

Nettamente contraria alla proposta di legge Federalimentare, la federazione aderente a Confindustria: “Un prodotto è sicuro non in quanto le materie prime provengano da questa o quella località, tantomeno in quanto ciò sia indicato in etichetta”, si legge in un documento degli industriali del settore agroalimentare che aggiungono: “Il made in Italy alimentare si basa non tanto sull’origine delle materie prime impiegate quanto sulla ricetta, sulla capacità di lavorazione, sulla cultura della produzione di qualità".
Favorevole invece alla proposta di legge l'industria italiana che fa del made in Italy il segno performante della propria azienda.
“Le importazioni di pomodoro cinese hanno una forte incidenza nel retail - dichiara Giorgio Mazzoli, responsabile marketing foodservice di Conserve Italia – in particolare nei discount, dove entrano volumi importanti di fascia bassa, e nella ristorazione collettiva, dove i bandi si giocano sulla logica del massimo ribasso. Nel canale pizzeria può accadere che, per ridurre il costo, si utilizzi il concentrato cinese da diluire per produrre la salsatura in aggiunta a pelati e polpe.
Il pomodoro che noi commercializziamo ha il marchio 100% italiano – spiega Alessio Rosati, key account per la ristorazione organizzata Italia della Ditta Greci e fornitore di pomodoro a private label per Cateringross – e così anche tutte le altre nostre referenze. Ritengo che il problema per la ristorazione non si ponga, vista l’incidenza irrisoria del costo del pomodoro sul food cost.
Il margine economico non sarebbe minimamente confrontabile con la perdita in termini di qualità e di varietà della produzione nostrana che comporta l’acquisto di concentrato cinese. D’altra parte la forte concorrenza del concentrato cinese a prezzi bassissimi e di altrettanta bassa qualità nasconde spesso fenomeni di dumping sociale, con i costi del prodotto ridotti ai minimi termini per assenza nel Paese d’origine di garanzie per i lavoratori, per l’uso in campagna di prodotti chimici da noi vietati, per le industrie di trasformazione prive di sistemi adeguati di depurazione a tutela dell’ambiente circostante e per i grandi problemi sanitari dovuti soprattutto ai livelli di muffe pre- senti nel prodotto che, secondo le regolamentazioni interne cinesi, possono arrivare fino al 70% del volume complessivo.
“Se il primo passo sarà l’approvazione della legge sull’etichettatura – conclude Mazzoli – il secondo dovrà essere l’efficacia degli strumenti di controllo per garantirne il rispetto".

L'etichetta con l'origine sulla tavola degli italiani
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