Ecco perché un disegno di legge, da poco approvato alla Camera, che però dovrà passare al vaglio del Senato e poi della commissione europea, estende l’etichettatura d’origine a tutti gli alimenti offrirebbe finalmente una solida garanzia ai consumatori e agli agricoltori italiani di vedere così valorizzate le loro produzioni. Il testo prevede anche che l’origine degli alimenti non potrà essere omessa anche nella comunicazione commerciale, per non indurre in errore il consumatore. In pratica, non si potrà più far pubblicità al succo di arancia sfruttando le immagini della Sicilia utilizzando frutta proveniente dal Brasile o alle mozzarelle provenienti dalla Germania con le immagini del Golfo di Napoli se provengono dalla Germania come è successo per quella diventata blu.
Nel frattempo giungono buone notizie anche da Strasburgo. Nei mesi scorsi il parlamento europeo si è dichiarato a favore dell’etichettatura e dall’ultimo Salone del Gusto di Torino giungono rassicurazioni da parte di Dacian Ciolo, commissario europeo all’agricoltura, che nel prossimo Consiglio dei Ministri dell’UE fissato per il prossimo 8 dicembre avanzerà una proposta di legge europea sull’etichettatura.
FAVOREVOLI E CONTRARI
Nettamente contraria alla proposta di legge Federalimentare, la federazione aderente a Confindustria: “Un prodotto è sicuro non in quanto le materie prime provengano da questa o quella località, tantomeno in quanto ciò sia indicato in etichetta”, si legge in un documento degli industriali del settore agroalimentare che aggiungono: “Il made in Italy alimentare si basa non tanto sull’origine delle materie prime impiegate quanto sulla ricetta, sulla capacità di lavorazione, sulla cultura della produzione di qualità".
Favorevole invece alla proposta di legge l'industria italiana che fa del made in Italy il segno performante della propria azienda.
“Le importazioni di pomodoro cinese hanno una forte incidenza nel retail - dichiara Giorgio Mazzoli, responsabile marketing foodservice di Conserve Italia – in particolare nei discount, dove entrano volumi importanti di fascia bassa, e nella ristorazione collettiva, dove i bandi si giocano sulla logica del massimo ribasso. Nel canale pizzeria può accadere che, per ridurre il costo, si utilizzi il concentrato cinese da diluire per produrre la salsatura in aggiunta a pelati e polpe.
Il pomodoro che noi commercializziamo ha il marchio 100% italiano – spiega Alessio Rosati, key account per la ristorazione organizzata Italia della Ditta Greci e fornitore di pomodoro a private label per Cateringross – e così anche tutte le altre nostre referenze. Ritengo che il problema per la ristorazione non si ponga, vista l’incidenza irrisoria del costo del pomodoro sul food cost.
Il margine economico non sarebbe minimamente confrontabile con la perdita in termini di qualità e di varietà della produzione nostrana che comporta l’acquisto di concentrato cinese. D’altra parte la forte concorrenza del concentrato cinese a prezzi bassissimi e di altrettanta bassa qualità nasconde spesso fenomeni di dumping sociale, con i costi del prodotto ridotti ai minimi termini per assenza nel Paese d’origine di garanzie per i lavoratori, per l’uso in campagna di prodotti chimici da noi vietati, per le industrie di trasformazione prive di sistemi adeguati di depurazione a tutela dell’ambiente circostante e per i grandi problemi sanitari dovuti soprattutto ai livelli di muffe pre- senti nel prodotto che, secondo le regolamentazioni interne cinesi, possono arrivare fino al 70% del volume complessivo.
“Se il primo passo sarà l’approvazione della legge sull’etichettatura – conclude Mazzoli – il secondo dovrà essere l’efficacia degli strumenti di controllo per garantirne il rispetto".
L'etichetta con l'origine sulla tavola degli italiani