«La cultura dei fatti»: questo l’high concept che l’altro ieri ha fatto da cornice al Summit Ho.Re.Ca. svoltosi a Milano presso la sede de Il Sole 24 Ore. A concludere la giornata, la tavola rotonda coordinata da Davide Paolini sul tema, aperto e mai così attuale, “Basta con gli chef! Torniamo ai cuochi?” esclamazione ed interrogativo proposti dal Gastronauta agli ospiti chiamati a discutere sul cambiamento dell’immagine di questa figura professionale. Ma si tratta di evoluzione o piuttosto di involuzione?
Protagonisti a ragion veduta del dibattito Gualtiero Marchesi, Moreno Cedroni, Vittorio Fusari, Enrico Bartolini e i giornalisti Roberto Perrone e Alberto Lupini. Tutti concordi nell’affermare che la figura dello chef andata costruendosi in questi ultimi anni, complici in prima linea i media, rappresenta un modello lontano dalla realtà, fatta di cucinieri, di osti, di «chimici dell’intuizione», secondo la definizione che ne diede Ernesto Illy, di professionisti della ristorazione italiana, conoscitori e promotori della cultura della materia, ma dalla propria cucina.
Non dimentichiamo che la parola chef da sola non significa nulla, e l’utilizzo spesso abusato che se ne fa è rappresentativo dell’influenza francese con cui facciamo ancora i conti, che se da un lato è fisiologica, dall’altro può spingere all’estrema riverenza, se non alla sudditanza.
A vent’anni dall’affermazione di Bocuse, ricordata da Gualtiero Marchesi, secondo cui «l’egemonia culinaria francese durerà sino al momento in cui i cuochi italiani si renderanno conto dell'enorme patrimonio che hanno a disposizione», ancora oggi le cucine territoriali del nostro Paese hanno bisogno di essere difese e salvaguardate. Ma anche, anzi prima, conosciute e condivise. “La tradizione è un divenire a cui le generazioni contribuiscono, ed è giusto che il loro bisogno di apprendere trovi spazio nelle scuole e il loro bisogno di sognare venga accolto in cucina” afferma Vittorio Fusari. Il problema è che le cucine sono affollate di compositori che non sanno come si esegue. “Come nella musica prima si imparare a leggere e ad eseguire uno spartito e poi, forse, quando si conosce a fondo la materia, si può improvvisare e comporre secondo la propria vocazione, così è in cucina” evidenzia Marchesi, il quale come Rettore di ALMA fa della didattica il punto di partenza, e non di arrivo, sia per l’allievo che per il maestro.