Quali sono i passaggi che ti hanno portato a creare il tuo carrello dei formaggi?
“Abbiamo sempre avuto, come tutti, qualche formaggio da proporre, ma senza scriverli in menu. Poi ho cominciato ad ampliare la gamma, dal Parmigiano Reggiano agli altri tre o quattro classici. Venivano raccontati a voce, con scarso successo. Senza demordere creai la carta dei formaggi, abbastanza inutile, a cui seguì il primo carrello. Era molto artigianale, costruito su un asse per la pasta, e qui cominciarono ad arrivare i primi attestati di interesse. Da quel momento il carrello, oggi decisamente professionale, è entrato a pieno titolo nelle proposte”.
Come selezioni i formaggi per il carrello?
“All’inizio tramite i distributori, che ora rimangono per le eventuali integrazioni. Poi la curiosità è diventata la molla principale. Non c’è viaggio che non torni con qualche formaggio, tanta è la biodiversità in questo settore. Infine il confronto con i clienti, dai quali arriva sempre uno sprone alla ricerca, qualche indicazione su nuove referenze e, soprattutto, l’opportunità di profilarne il gusto che consegue alla scelta”.
Qual è la composizione ideale di un carrello?
“Innanzitutto si parte dal numero: non meno di otto proposte. Noi ci posizioniamo sulle quindici proposte. Poi si applica un criterio di equilibrio tra morbidi e stagionati e una giusta armonia tra formaggi di mucca, pecora e capra. Molta Italia perché c’è tanto da far scoprire. Una parte di esteri e, nel mio carrello, trovano spazio i formaggi francesi, solitamente piacioni e comunque sempre punto di riferimento nell’immaginario del cliente; quelli spagnoli, straordinari ma incostanti; qualche svizzero e olandese”.