Gli allarmi si sprecano, le indagini pure. I consumi non crescono, anzi sono ulteriormente in calo, le famiglie non ce la fanno più. L’Italia a due velocità rappresenta sempre di più la fotografia reale di un Paese che sta perdendo competitività a livello internazionale, pur avendo un’immagine di eccellenza in molti settori.
Gli italiani hanno 570 euro l’anno in meno per i consumi, denuncia la Confcommercio: i consumi reali sono fermi e non si vedrà la luce prima del 2014. Un dato addirittura sottostimato, stando alle analisi di Federconsumatori e Adusbef che affermano “negli ultimi tre anni vi è stata una caduta dei consumi del -6,5%, con una contrazione della domanda di circa 51 miliardi di Euro”.
Tralasciamo le polemiche sulle responsabilità, ma cerchiamo invece di capire come la crisi dei consumi coinvolge il settore alimentare dove, secondo Ismea, il 2010 ha visto una flessione degli acquisti domestici dello 0,6% in volume, accompagnata da una riduzione dei prezzi dello 0,5%. Il bilancio negativo riflette, in termini quantitativi, una contrazione della domanda domestica di carni bovine (-4,6% rispetto al 2009), vini (-3,4%), prodotti ittici (-2,9%) e frutta (-1,8%).
“A mio avviso i consumatori italiani non stanno riducendo il volume complessivo dei consumi alimentari, ma stanno modificando le loro scelte nella direzione di una riduzione del valore di spesa complessivo. – afferma Giorgio Mazzoli, responsabile marketing del gruppo Conserve Italia - Nei consumi domestici questo avviene con un buon mantenimento del livello qualitativo medio, grazie ad un maggiore ricorso ai prodotti dei marchi dei distributori, qualitativamente affidabili, e ad un maggiore acquisto speculativo di prodotti di marca in offerta promozionale: meno fedeltà alla singola marca ma comunque scelta di una delle marche in offerta promozionale. In generale comunque la valutazione di essenzialità di un tipo di consumo è soggettiva, e diversa dal passato, perché diversi sono i sistemi di valori dei vari gruppi sociali: si taglia sempre ad esempio su divertimenti e abbigliamento, ma non su viaggi e telecomunicazioni”.
In buona parte d’accordo con questa analisi è Claudio De Paolini, responsabile commerciale di Food and Trade che rappresenta diversi marchi del settore alimentare: “L'alimentare è sempre stato considerato nei momenti di crisi economica uno spazio fuori da ogni pressione. Ora la riduzione dei consumi è, a mio parere, dovuta anche ad una cultura alimentare che è molto mutata. Non ci sono più gli acquisti "forzati dalle promozioni”. Ricordate il 3x2? È sparito, non ha più senso. Ora il consumatore acquista con molta oculatezza, solo ciò che serve”.
Il fattore prezzo sta incidendo sugli acquisti alimentari delle famiglie; questo può essere un rischio sulla qualità dei prodotti?
“Il fattore prezzo coinvolge solo quei prodotti che i media stressano come fondamentali (pasta, latte e pochi altri). – continua De Paolini - Diventa di importanza incredibile l'aumento di 5 centesimi sul prezzo della pasta, poi aumentano i consumi in maniera smisurata di prodotti che hanno costi impressionanti, vendo quantità enormi di frutta che al consumatore arriva ad euro 15/16 per chilo. Quindi capisci che non c'è proprio una visione coerente delle necessità. Con le nostre aziende ci siamo garantiti una fascia di prodotti /cliente legati a sani concetti di qualità/servizio. Ce la si può fare. Spalle forti e tanta, tanta perseveranza. La qualità paga ancora. A tutti i livelli!”
Nonostante il calo dei consumi, soprattutto nell’alimentare domestico, in generale le persone non rinunciano al ristorante.
Vincenzo Petrazzuolo, titolare dell’azienda di ingrosso alimentare Petrazzuolo di Napoli, sostiene che “le persone non rinunciano al ristorante, ma rinunciano ad andare più spesso al ristorante. Voglio dire che lo stile di vita porta a non privarsi dell'uscita di fine settimana, andando al ristorante o alla pizzeria,ma rinunciando nei giorni infrasettimanali. Certamente la crisi,da un comportamento iniziale di aspettativa,ha portato l'uomo ad adeguarsi,pertanto si ricercano più economici, con servizio comunque adeguato, sia per i bar sia per ristoranti e pizzerie. Come si modificano i comportamenti dei consumatori, alla stessa maniera si modificano i comportamenti di acquisto degli operatori,ricercando sempre di più la "economicità" del prodotto anche,a volte,in termini di servizio”.
Giorgio Mazzoli puntualizza:"Nei consumi extradomestici la politica del pubblico non è una loro riduzione, ma un cambiamento di scelta delle tipologie di punto di consumo, come ad esempio per il break meno spesso il bar e più spesso il distributore automatico, o per la cena meno ristorante e più pizzeria…".
Tra le tante voci, c’è quella della ristorazione di fascia alta che parla di esperienza di consumo, secondo Angelo Sabbadin, sommelier dellle Calandre, il ristorante dei fratelli Alajmo: “Come accade nel settore dell'alta moda o nel lusso in generale, anche per la ristorazione di alto di livello, l'esperienza in grande ristorante diventa per il consumatore uno "status symbol". In genere, il consumatore medio appassionato, preferisce rinunciare ad un'esperienza mediocre per concedersi invece il "lusso" di poter frequentare la cucina di un grande chef. Il ristorante inoltre diventa una "vetrina" di lusso per i produttori e fornitori e al contempo un banco di prova per testare la loro qualità”.
Quella qualità a cui si appellano da più parti i diversi attori del comparto, dai produttori ai trasformatori ai consumatori. Ma cosa è necessario per mettere operatori e consumatori in condizioni di riconoscerla?
Luigi Franchi