Sergio Rossi, autore del blog Il cucinosofo
Esiste una precisa identità contemporanea per la cucina italiana?
“Interpreto l'identità della cucina come l'insieme di quei caratteri distintivi che la rendono inconfondibile. In tal senso, però, considero possa esserci una differenza anche sensibile fra ciò che da italiano ritengo identitario nella nostra cucina e ciò che invece viene percepito come tale dall'estero. Inoltre, ritengo sia complicato definire un'identità contemporanea, poiché la costruzione di qualcosa di specifico, caratteristico e inconfondibile, com'è appunto l'identità, non può vivere di sola attualità ma contempla e richiede il tempo lungo, in qualche modo antitetico rispetto ai ritmi moderni. Da italiano trovo identitaria la nostra cultura alimentare, e molto meno le mode della cucina che cambiano in pochi anni e spesso vivono popolarità mediatiche inconsistenti”.
Quanto può la tradizione contribuire a questa identità rinnovata?
“La tradizione è troppo spesso associata a un senso di immobilità, mentre vive di una lenta e continua evoluzione. Senza la tradizione non può esistere un'identità profonda e rilevante. Certo, qualunque cucina esprime identità nel momento in cui esiste, ma per un popolo che da millenni ha nella cucina un elemento fortemente caratteristico, la tradizione rappresenta il patrimonio più prezioso. Tutti celebriamo la "diversità" ma spesso perseguiamo l'omologazione, nel gusto come nella cucina, e talvolta trascuriamo la spontaneità delle cucina italiana che è la nostra più grande eccellenza. La variabilità orografica, i microclimi, le situazioni contingenti, i prodotti agroalimentari, le sfumature culturali, le influenze esterne hanno creato un patrimonio culturale smisurato che può e deve costituire l'elemento ispiratore e propulsivo per tutta la cucina attuale. L'alta cucina cerca legittimazione nella tradizione, ma la ottiene solo se sa rendersi consistente e credibile”.
Ci sono molte storie da raccontare quando si approccia al cibo; quali elementi imprescindibili devono contenere questi racconti per fare davvero informazione e cultura?
“Ciascuno può vedere il cibo da un punto di vista differente, ciò che determina una certa variabilità di opinioni. Tuttavia credo che si sottovaluti ancora la storia documentata dei cibi e troppo spesso ci si affidi a storielle e leggende certamente folcloristiche ma non sempre credibili. Abbiamo prodotti e ingredienti con storie affascinanti e singolari che non vogliamo o non sappiamo raccontare, e questa è una grande perdita per la nostra cucina. Inoltre, ritengo decisivo sottolineare il valore assoluto dei protagonisti di una storia, cioè gli individui che danno vita al racconto. Sono sempre le persone a fare la differenza: il loro estro, l'intraprendenza, la tenacia e l'intelligenza. Il patrimonio gastronomico italiano è un insieme infinito di individui che hanno coltivato, cacciato, pescato, sperimentato, affinato, trasformato, cucinato: esiste qualcosa di più rilevante da comunicare? Io credo di no. E sono convinto che il racconto sia efficace e coerente solo nella continuità attuale, libero da ogni intento celebrativo del "bel tempo che fu" e dalla volontà di prospettare il futuro attingendo al passato”.
Le storie virtuose
Ne esistono centinaia nella ristorazione italiana, non c’è luogo che non abbia qualcosa da raccontare ma sono sempre le persone, come scrive Sergio Rossi, a fare la differenza. Allora bisogna scegliere e noi ne abbiamo individuate tre: quella del vero cuoco, quella di una bella famiglia, quella dell’autentico ricercatore.
Quando immagino il vero cuoco penso a Massimiliano Poggi. Lunghe esperienze formative, senza fronzoli, prima di approdare al Cambio di Bologna; abile conoscenza di materie prime e rispetto profondo della tecnica. Il tratto distintivo che fa di Massimiliano Poggi un vero cuoco è che non appare mai, lascia che il piacere di raccontare i suoi piatti lo assolvano i bravi ragazzi della brigata di sala. Questo è un segno di grande rispetto verso i canoni della ristorazione, comunque la si pensi. Dal suo nuovo locale, che porta il suo nome e si aggiunge Al Cambio e alla Colombina, Massimiliano Poggi ci racconta la sua visione della ristorazione.