Ogni anno in Italia il 15% della produzione alimentare viene sprecato in vari modi e il Banco Alimentare, una fondazione con 21 centri territoriali dotati di magazzini e logistica, cerca di contenere questo spreco grazie a iniziative come la Colletta Ailmentare che avviene in un giorno prestabilito in ogni parte d’Italia, e al recupero che fanno, tutto l’anno, presso le industrie alimentari, la GDO, i mercati generali, la ristorazione e le fiere, e alle oltre 7.600 associazioni caritative ed enti che poi redistribuiscono questo cibo. Tutto questo avviene grazie ai 1.934 volontari della rete del Banco Alimentare.
Di questo parliamo con Marco Lucchini, segretario generale del Banco Alimentare, che ci spiega il gigantesco funzionamento di questa rete, nata negli Stati Uniti da un incontro particolare.
Quando è nato il Banco Alimentare e chi è stato ad avere l’iniziativa?
“Il primo Banco Alimentare nel mondo nasce negli Stati Uniti ad opera di John Van Hengel, un volontario presso la mensa dei poveri di Phoenix in Arizona. Era il 1967. Nasce in modo casuale, senza nessun pensiero strategico antecedente. Incontra una donna che sta frugando dentro i bidoni della spazzatura di un supermercato per recuperare il cibo per lei e per i suoi dieci figli. John le si avvicina e le dice: perché non viene alla mensa dei poveri? La risposta della donna fu: qui trovo cose più buone! Rimasto colpito da questa cosa va dal direttore per capire e scopre che le leggi del mercato, con standard dettati dal marketing, definiscono quali prodotti vanno di più mentre gli altri vengono gettati perché costa di più smaltirli. A quel punto prese un accordo con il direttore del supermercato per ritirare lui la merce e portarla alla mensa francescana. In poco tempo si trovò a raccogliere più di quello di cui i frati avevano bisogno così cominciò a distribuirla anche ad altre associazioni della città, fino a quando gli venne donato uno spazio in una vecchia panetteria dismessa che John trasforma nel primo magazzino. Reincontra la signora che gli suggerisce, inconsapevolmente, il nome, affermando: se noi avessimo una food bank, una banca del cibo saremmo più ricchi. La cosa diventa presto virale e si sviluppa in tutti gli Stati Uniti”.
In Italia quando nasce il Banco Alimentare?
“Da una partecipazione di un italiano, milanese, a un incontro a Barcellona dove viene coinvolto nel Bancos de Alimentos. Il suo nome è Diego Giordani. Chiamò Giorgio Vittadini della Compagnia delle Opere a Milano che mi chiese, in quanto laureato in Agraria e coordinatore delle cooperative commissionarie (quelle che oggi sono i GAS; gruppi di acquisto solidali ndr), di capirne di più. Presi contatto con Giordani, andai a Barcellona per capire come funzionava questo Banco Alimentare. Era il 1988, io lavoravo in una piccola catena alimentare e, in quel periodo, si stava sviluppando la trasformazione del commercio, i supermercati prendevano sempre più spazio, l’inflazione era a due cifre, l’industria alimentare era praticamente statalizzata e in agricoltura si lasciavano marcire i prodotti nei campi in base ai regolamenti della PAC e perché non si guadagnava più nulla. Un periodo dove il consumismo cominciava a diventare regola di vita, il famoso 2x3 imperava. Quindi succedeva che facevi acquisti per ottenere un prezzo e molta merce restava invenduta. In quella situazione decidiamo di dar vita al nostro primo Banco Alimentare, incontrando un grande imprenditore, Danilo Fossati della STAR, sensibile al tema del recupero. Grazie a lui creammo il primo magazzino e, nel gennaio del 1990, ci arrivò del Fernet Branca avanzato dai pacchi natalizi, fu così che intuimmo che la cosa era possibile. Nel 1992 lasciai il mio lavoro e, da allora, mi dedico interamente all’attività della Fondazione Banco Alimentare”.
Cosa significa oggi la presenza del Banco Alimentare?
“Una presenza in 70 stati del mondo suddivisi in tre grandi reti: una rete europea (FEBA) che coinvolge 30 paesi europei; Feeding America per i paesi dell’America del Nord; Global Food Banking Network per il resto del mondo. In Italia abbiamo la sede della Fondazione a Milano, con 21 Banchi Alimentari nelle regioni italiane dotate di magazzini per la corretta gestione delle merci alimentari e 1934 volontari attivi, 160 dipendenti che sono con noi dopo aver perso il lavoro”.
Come si diventa volontari? Che requisiti occorrono? Avete sedi territoriali?
“Principalmente chi si rivolge a noi è una persona che ha del tempo perché qui si lavora a tempo pieno. Poi dipende dall’attività: in magazzino occorrono persone che abbiano la giornata intera; per la raccolta del cibo urbano servono invece poche ore al giorno. Non abbiamo mai fatto campagne di reclutamento, le persone arrivano con il passaparola e le collochiamo in base ai desiderata e le nostre esigenze. Facciamo un percorso di formazione. Chi viene per ‘l’emozione’ di aiutare direttamente un bisognoso da noi non la trova, perché il nostro lavoro è di intermediazione tra chi offre e chi redistribuisce. Noi consegniamo, o vengono direttamente a prendere la merce nelle nostre 21 sedi territoriali, a circa 7.600 associazioni di volontariato in Italia, in modo che abbiano più tempo da dedicare alle persone. Poi abbiamo la Colletta Alimentare che dura però un solo giorno, mentre l’attività quotidiana è incentrata sulla raccolta del cibo per evitarne lo spreco”.
Si spreca ancora molto in Italia?
“Negli anni si spreca sempre meno, grazie all’informatica che tiene sotto controllo i cicli produttivi, a una diversa sensibilità delle persone, ad una crisi economica di fatto e a una sostenibilità che sta facendo breccia. Chi dice il contrario dice una falsità. Resta ancora un problema, certamente. Uno studio del Politecnico di Milano del 2015 rivelava che erano circa 5 milioni di tonnellate all’anno lungo tutta la filiera, compresi i consumatori, le eccedenze alimentari, un dato che è leggermente migliorato ma ancora troppo elevato. Di quelle eccedenze il 50% è ancora commestibile e recuperabile. Il costo del recupero, con più ci si sposta a valle della filiera, è più alto: recuperare in un ristorante o in un supermercato costa di più che ricevere un tir dall’industria, ma offre più varietà di prodotto”.
La ristorazione classica come può interagire con voi?
“La ristorazione ha gli strumenti per ridurre lo spreco, cominciando dalla cura che mette nella gestione della cucina: un bravo chef riesce a riproporre, con altre ricette, quello che si è avanzato oggi. In cucina rimane sempre molto poco. Rimane il problema di quello che rimane sul piatto, ma questo è un problema universale. Noi non lo ritiriamo perché non è più recuperabile, perché c’è un problema di contaminazione. L’unica possibilità è che l’ospite se lo porti via”.
Quante derrate avete raccolto nel 2021, in termini quantitativi?
“Abbiamo raccolto 126.235 tonnellate di alimenti, redistribuite tra le 7.600 associazioni che aiutano 1,7 milioni di persone. Ed è il 50% del bisogno reale! Cerchiamo di contenere il numero di associazioni per evitare di dare un tozzo di pane a testa”.
Un’intervista che rende bene lo straordinario lavoro quotidiano della Fondazione Banco Alimentare. Ma ci sono due cose che vogliamo ancora raccontare: il recupero dei pesci sequestrati per frodo da parte del Banco Alimentare interrompe anche una catena malavitosa. Con la donazione si evitano le aste dove, a volte, c’è la sensazione di un accordo tra chi ha fatto il reato e chi gestisce l’asta. L’anno scorso sono state 16 le tonnellate di pesce recuperato dai sequestri.
L’altra cosa è il giudizio sui giovani, anche quelli che fanno i volontari del Banco Alimentare, che ha Marco Lucchini: “I giovani di oggi sono fantastici! Hanno un’attenzione alle cose che è propria e capiscono una cosa fondamentale: che anche un piccolo gesto incide!”
Luigi Franchi