Quando è stata raccolta questa intervista non era ancora stata annunciata la riapertura del Don Alfonso dopo un anno di chiusura per una radicale ristrutturazione in ottica di ecologia integrale che ha riguardato ogni aspetto dell'azienda, dalla gestione dei rifiuti, dei consumi idrici, energetici, qualità dell'aria a "zero emissioni".
Costanzo Cacace appartiene alla prima metà della storia cinquantennale del famoso tristellato di Sant’Agata sui due Golfi, c’è un segno anche in questa coincidenza.
Sognava di fare il calciatore Costanzo Cacace, e grazie al calcio è arrivato nel mondo della ristorazione. A Roma si teneva un campionato importante per la sua categoria così un amico gli disse «perché non vieni qui a lavorare? così puoi anche giocare». Aveva 17 anni quando lasciò Sant’Agata sui Due Golfi inseguendo il pallone per scoprire di avere altre qualità. Cominciò come cameriere in un grande albergo e intanto giocava guidato da un grande allenatore, Dino Da Costa, ex della Roma.
Il primo impiego fu all’Hotel Continental, poi al Parco dei Principi, all’Excelsior, una gavetta durata cinque anni, poi decise di tornare a casa ma era irrequieto così rientrò a Roma a lavorare in un ristorante a Piazza Campitelli, La Vecchia Roma, uno dei più rinomati allora. Tornato definitivamente a casa si sposò e nel 1980 gli arrivò la proposta di andare a lavorare nel ristorante della famiglia Iaccarino. L’aveva chiamato l’amico Alfonso dicendogli che avevano bisogno di un cameriere. I due giocavano a pallone nella stessa squadra, Costanzo centrocampista, Alfonso era punta, con uno scatto bruciante e un tiro fortissimo. Fortunatamente il richiamo della cucina ebbe il sopravvento sul calcio. Forse si è trattato di predestinazione per tutti e due anche se la famiglia di Alfonso gestiva da tempo quel ristorante che godeva di un buon nome in un territorio dove c’erano diversi altri ristoranti di pari qualità. Il locale era frequentato massimamente da napoletani. Quando Alfonso cominciò ad evolvere la sua cucina non fu facile al principio convincere quei clienti che rimanevano legati ai piatti tradizionali, ma intanto la voce si spargeva e cominciarono ad arrivare clienti anche da altre regioni, e turisti stranieri, mentre i napoletani cominciavano ad abituarsi alle novità.