Nel 2008 nei 27 paesi dell’Unione Europea c’erano quasi 1,5 milioni di imprese attive nel settore della ristorazione. In Italia erano 247 mila i pubblici esercizi (pari al 17% del totale di tutti i paesi) su circa 58 milioni di abitanti, in Germania erano 131 mila (9%) con 83 milioni di abitanti. Nel Regno Unito le aziende del fuori casa erano 120 mila, per somministrare pollo fritto e pinte a 59 milioni di inglesi. Anche la Francia, paese dalla cultura mediterranea più vicina alla nostra e con lo stesso numero di abitanti, conta la non piccola differenza di circa 60 mila pubblici esercizi in meno.
Sul fronte dei consumi il Regno Unito ha un consumo pro - capite molto maggiore dell’Italia, pur avendo, come evidenziato nel recente rapporto elaborato dall’ufficio studi di Fipe, un minor numero di esercizi. Ogni euro speso in alimenti consumati in casa, gli italiani ne spendono 0,55 fuori casa, un dato che si avvicina alla media europea, ma è quasi la metà rispetto a quanto spendono irlandesi, spagnoli e inglesi. La Germania si colloca a un livello di consumi più basso del nostro paese, a fronte di una minore densità commerciale di bar e ristoranti.
Il crollo dei consumi alimentari registrati in Italia tra il 1999 e il 2009 è stato doppio di quella registrato in Spagna, mentre in Francia è addirittura aumentato; per non parlare delle crescite “esponenziali” dei consumi che hanno avuto i paesi balcanici. Peggio di noi ha fatto solo il Portogallo.
Sul fronte delle imprese e dell’occupazione, l’Italia col 41% di occupati - titolari è il paese con la più alta percentuale di società con imprenditori di se stessi. Con solo 3,5 addetti per azienda, il nostro paese viene superato, si pensi bene, da Slovacchia, Estonia, Lituania, Lettonia, Bulgaria, Romania, Polonia; oltre, ovviamente, dai principali paesi del vecchio continente.
Questo nanismo d’impresa, se unito al costante calo dei consumi che si stanno confermando, ahinoi, anche per i mesi a venire, non aiuta il settore a organizzarsi, a svilupparsi, a crescere, a formarsi. Pensare di fare tutto ciò che sarebbe necessario e richiesto sembra cosa impossibile in un settore dove sono più le aziende che chiudono di quelle che aprono, e tra queste sono più quelle gestite da stranieri che da connazionali.
La spesa complessiva in alimenti nel nostro Paese cresce a tassi inferiori rispetto a quelli registrati nelle principali aree del vecchio continente, inoltre se il dato lo sommiamo alla componente strutturale e organizzativa delle nostre aziende, si può tranquillamente desumere che l’Italia si posiziona in una fascia di retroguardia vista in scala continentale. Nella mappa dei “geo - consumi” alimentari siamo da collocare a metà strada tra la macro area balcanica e quella a cui più ci assomigliavamo in passato, quella dell’Europa centro settentrionale. Ma questo era solo il passato.
Roberto Martinelli