Mi ha sempre colpito la laboriosità di matrice orientale, soprattutto quella cinese. Osservare come, ancora oggi, nonostante in certi casi si sia raggiunta la terza generazione di alcune famiglie stabilitesi in Italia, il flusso migratorio non sia mai terminato, è un esempio di tenacia e imprenditorialità difficilmente riscontrabile in altre popolazioni.
La ristorazione è da sempre la prima porta di ingresso per qualunque immigrato, anche noi italiani, la prima cosa che abbiamo fatto, quando ci è toccato lasciare il suolo natio, è stato aprire un punto di ristoro, innanzitutto proprio per i connazionali che cercavano i gusti di casa, poi, grazie al successo più o meno conseguito, aperto a tutti e diffusione di una cultura.
I cinesi in Italia sono arrivati soprattutto nel secondo dopoguerra, ma fino agli anni 70 non c'è stata grande penetrazione, in quegli anni cominciano ad apparire i primi ristoranti cinesi, non solo nelle aree di maggiore concentrazione (a Milano ormai via Paolo Sarpi è riconosciuta come vera e propria Chinatown).
Seppur diversi per livello di arredi proponevano quasi tutti una cucina abbastanza standardizzata e le cose non cambiano molto fino agli anni 2000.
Il cambiamento avviene per un fattore esterno che dimostra, ancora una volta, la sagacia di un popolo. Una decina di anni or sono scoppia l'Aviaria ed un po' per ignoranza, un po' perché è facile fare di ogni erba un fascio, i pochi casi riscontrati in Asia, fanno crollare la fiducia nelle cucine “povere” provenienti da quel continente. I cinesi di casa nostra non si perdono d'animo e reagiscono in diversi modi.
I più furbi trasformano immediatamente il proprio ristorante in giapponese, così nascono alcune insegne che, in un primo tempo, fanno solo un pessimo servizio alla percezione della qualità della cucina del sol levante, in un secondo tempo, però, alcune di queste diventeranno, vedremo, casi di successo.
I meno lungimiranti virano verso un abbassamento dei prezzi di accesso, puntando sui numeri, creando le condizioni per la diffusione dei cosiddetti “all you can eat”. Una scelta rispettabile che, tuttavia, ritengo non abbia vita ancora lunga.
I più intelligenti puntano ad innalzare la qualità aprendo locali di cucina cinese di buon livello aggiungendo, inoltre, una diversificazione della proposta culinaria basata sulle diverse provenienze regionali.
Approcci diversi che hanno generato un unico risultato di successo complessivo creando un vero e proprio rinascimento della cucina cinese.
Un'impostazione imprenditoriale che sta producendo casi di famiglie che aprono locali di grande successo, nonché l'attenzione delle guide gastronomiche, al punto che da qualche tempo esiste un locale insignito di una stella Michelin.
Non è finita, oggi assistiamo ad un'ulteriore fase evolutiva che ha delle conseguenze interessanti sia per la conoscenza sempre più approfondita di cucine tipiche delle diverse regioni cinesi che per un miglioramento qualitativo di fondo, così diffuso, da poter mangiare piatti buoni e semplici a prezzi molto competitivi sia in locali tradizionali che di nuova concezione, anche sul versante street food.
Di seguito una selezione utile per esplorare la Milano d'oriente che premia ristoranti buoni di ristoratori bravi:
Yio, lo stellato di cui accennavo, una cucina di contaminazione cinese e giapponese (via Biondi 1).
Bon Wei (via Castelvetro) cucina cinese sofisticata,
Nishiki (corso Lodi) un locale accogliente per una cucina giapponese raffinata,
BA Asian Mood (via Ravizza) e
Gong (corso Concordia) locali moderni e cucina di grande qualità, la catena
Wang Jiao (diverse sedi) con piatti cinesi semplici e ambiente giovanile,
Mao Hunan (via Porpora) forse il primo a proporre una cucina provinciale, seguito da
Yuan (via Costa e via Restelli), stessa impronta, meno modaiolo. Sul fronte street food la
Ravioleria Sarpi, un caso di successo che scoprimmo per primi. Infine una citazione per
Hua Cheng, in Via Giordano Bruno, quella che considero alla stregua della trattoria semplice di una volta dove non riesci a spendere più di 10 euro a testa e mangi bene.
Aldo Palaoro