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Da Rita sull’Appennino

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25/05/2022

Da Rita sull’Appennino

L’Appennino, questa colonna vertebrale ancora resistente ma un po’ acciaccata dell’Italia, fa venire alla mente la navigazione. Salire sulle sue dorsali significa spaziare con lo sguardo fino ai mari che circondano questo Paese, significa fare un viaggio tra la terra e il cielo che sorprende ad ogni curva, da qualsiasi parte lo si intraprenda e, su tutto, domina un silenzio, a volte, maestoso.

L’Appennino non lo si può percorrere in fretta, neppure con l’auto più scattante, ti impone di andare piano, di guardarti intorno, di fermarti molte volte. Ed è così da Imperia a Reggio Calabria, mutevole nei costumi, nelle usanze, nel cibo: una ricchezza inafferrabile, che resta ancorata ai luoghi perché è fatta, soprattutto, dalle persone che vi sono nate e, anche, dai nuovi abitanti.

Panorami dPanorami d'Appennino

Si, perché grazie ad amministratori che amano la propria terra (non c’è altro motivo che questo nel diventare sindaci e amministratori di comunità così piccole) sta iniziando un lento movimento di ritorno su queste terre disegnate dalla natura e scolpite dalla mano dell’uomo; alcuni di loro si sono attivati per far giungere la fibra prima possibile, e poi hanno dato vita al fenomeno delle case a un euro spostando giovani che vogliono lavorare in libertà e altrettanto ‘giovani’ pensionati che desiderano una vita tranquilla, piena di bellezza.

 

Un premio speciale però va dato a tutti quegli abitanti che, nei borghi dell’Appennino, hanno saputo resistere, con le loro attività commerciali, i loro ristoranti, gli alberghi, alla fine degli anni d’oro della villeggiatura (fino agli anni ’80 del secolo scorso) tenendo aperte le strutture, guadagnando quel poco di che vivere. Una vera e propria resistenza, ne potrei citare a decine, con inverni silenziosi, vuoti, con estati dove sempre meno persone prendevano le strade appenniniche per le vacanze. 

Luoghi del silenzio e della lentezzaLuoghi del silenzio e della lentezza

Ne cito una per tutte, come simbolo di questa resistenza. Siamo a Valditacca, una frazione di Monchio delle Corti, sull’Appennino Tosco-Emiliano, un luogo incantevole dal punto di vista naturalistico, nel cuore del Parco nazionale e del MAB UNESCO.

È qui che, nel 1967, la signora Rita Olivieri aprì il suo albergo, con un ristorante legato ai prodotti di questa terra: Da Rita si chiama ancora quel posto, come si usava un tempo, legare il nome del locale al proprio, una certificazione ante-litteram.

 

55 anni di attività che le figlie, Michela e Raffaella, scomparsa da poco la mamma, sono determinate a portare avanti, perché, mi dicono, “non vogliamo che i suoi sacrifici e i suoi e i nostri sogni siano stati vani”.

La preparazione dei tortelli da RitaLa preparazione dei tortelli da Rita

Ora Da Rita, mi dice Michela Olivieri, è diventato (o forse è rimasto, pur con tutte le modernità dell’accoglienza) un luogo dove si vive “l’esperienza di ritrovare te stesso, staccandoti un attimo da tutto il resto e dedicandoti all’ascolto del ritmo naturale della tua vita”.


Una promessa non facile ma qui, sull’Appennino, anche le parole hanno un peso e quelle che si dicono sono pensate a lungo prima di essere pronunciate.

Dovrei scrivere di come si mangia, di come si dorme, di come si fa colazione in questo locale, un bravo giornalista che scrive di gastronomia dovrebbe fare questo ma le parole di Michela promettono già che tutto questo sarà delizioso. 

 

Del resto l’Appennino cos’è se non una navigazione per scoprire nuove terre?

a cura di

Luigi Franchi

La passione per la ristorazione è avvenuta facendo il fotografo nei primi anni ’90. Lì conobbe ed ebbe la stima di Gino Veronelli, Franco Colombani e Antonio Santini. Quella stima lo ha accompagnato nel percorso per diventare giornalista e direttore di sala&cucina, magazine di accoglienza e ristorazione.
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