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Di carne e ristorazione

12/05/2024

Di carne e ristorazione

Tendenze, linee guida e riflessioni sul fenomeno grill e bbq: il valore dell’esperienza, della formazione e della qualità, regole per avere successo, nuove tecnologie e l’importanza di fare squadra 

 

È una tendenza internazionale e qualcuno ritiene che contenga il segreto per la rinascita della ristorazione: la cottura sul fuoco – che sia carne o altro – riconduce al passato, a una narrazione che giunge dalla memoria ancestrale, emoziona, riscalda gli animi.

Per la ristorazione rappresenta una frontiera in continua evoluzione e non si contano più le aperture di attività che hanno come format la carne alla griglia, o barbecue come viene indicato il metodo di cottura, spesso in modo impreciso. 

Steak house, ristomacellerie, griglierie e hamburgerie nascono, e talvolta muoiono, in breve tempo. È la riscossa della carne dopo anni di demonizzazione? Emergono nuove esigenze di consumo e gli operatori sono pronti a soddisfare le voglie di una clientela ansiosa di degustare non solo il sapore della brace quanto quello della convivialità che si genera intorno ad essa. Semplice? Non proprio.

Si è svolto recentemente, dedicato alla cottura al grill e al bbq organizzato da Ecod srl, Meat Experience – dall’allevamento alla cottura, un forum che ha avuto come tema portante la formazione nel settore e l’utilizzo della carne nella ristorazione. L’evento è stato tappa di un percorso che inizia nel 2013 con la prima edizione di iMEATFiera che, giunta alle soglie della nona edizione, resta l’unico appuntamento informativo e formativo nel settore specifico della macelleria/gastronomia e della ristorazione specializzata. 

In particolare, nel corso di Meat Experience, durante una tavola rotonda ad ampio raggio, moderata dal giornalista Luca Bonacini, si è cercato di analizzare i pregi e le criticità di questa nuova identità che, da oltre oceano a noi, sta conquistando ristoratori e consumatori. 

Il tempo della narrazione

Serve a illustrare quello che si propone al cliente e, nel campo delle carni in particolare, la narrazione serve a far comprendere al cliente le peculiarità di ciò che sta per degustare. Dunque, la conoscenza e la cultura corretta della carne sono alla base di tutto per uno scambio di stimoli che conduce all’esperienza. 

La parola che aleggia è “cultura”. Quando il tema è complesso, delicato quanto quello del consumo di carne, serve approfondimento e conoscenza. Serve autorevolezza da parte di chi propone, predisposizione a comprendere da parte di chi riceve. Perché la carne, lavorata e cucinata con i metodi del fuoco, non è una moda ma molto di più.

Sonia Re, Direttrice Generale di APCI, Associazione Professionale Cuochi Italiani, non ha dubbi e, dal suo osservatorio afferma: “Tema delicato quello della carne nella ristorazione, tema imprescindibile per una associazione di categoria che deve fare i conti con le esigenze della sostenibilità e guarda al futuro. Ci stiamo battendo affinché la parola “carne” e la parola “sostenibilità” possano essere pronunciate nella stessa frase senza controsenso. I giovani hanno un occhio attentissimo alle problematiche della sostenibilità in generale; soprattutto i giovani cuochi sono molto impegnati e in quest’ottica il capitolo carne ha molta voce. I clienti chiedono la carne ma la chiedono secondo consumi adeguati, dobbiamo rispondere in maniera corretta, il che significa istruire ed educare i cuochi quanto il pubblico”. 
 

Istruire dunque, educare per creare un’identità nella quale sia riconoscibile la provenienza dell’animale, la qualità del prodotto, nel rispetto delle tecniche adottate secondo il principio del no spreco. “Cucinare la carne è un grande stimolo per un cuoco, specialmente quando fare una portata di carne diventa capacità di scelta: non deve per forza essere un taglio glamour ma piuttosto un taglio povero, che sollecita la fantasia, la creatività. Insomma – afferma Sonia Re – la formazione è fondamentale e dobbiamo educare le nuove generazioni a essere cuochi e comunicatori, ristoratori e tecnici. Il comparto deve dare un input di formazione e informazione quale stimolo per un consumo consapevole e sostenibile della carne”. 

Di carne e ristorazione

Esempi di successo, frutto di ragionamento o solo una moda?

Alessandro Farina, titolare di Victor Steak House, si è approcciato al mondo della ristorazione nel 2017: “Ero neofita ma con passione e soprattutto con la guida di un esperto, ho realizzato il mio obiettivo. Oggi, mio fratello ed io abbiamo due locali, a Cesano Maderno e Gallarate. Abbiamo puntato su carni alla griglia e affumicate e il risultato ha incontrato il favore dei clienti ma il nostro percorso è stato possibile perché ci siamo affidati alla competenza di un consulente del settore. E’ un campo molto interessante ma impegnativo e non si può improvvisare, non esistono scorciatoie. Per noi la qualità è fondamentale così come il metodo di lavorazione e le caratteristiche del prodotto”.

Oggi Victor Steak House realizza circa 5000 coperti al mese in ognuno dei due locali che sono progettati per essere dei luoghi contenitore dove periodicamente si organizzano eventi musicali e conviviali. “La gente cerca tante cose diverse insieme – spiega Farina - vuole una serata particolare. Così, Guido Dall’Anese,  pit master chef e specialista nell’avviamento di start up e attività di ristorazione a base carne, ha istruito lo staff e formato i ragazzi a offrire un’esperienza non convenzionale; ha studiato un menù composto di specialità differenti: puntiamo su carne irlandese di Angus e su Chianina e spingiamo su piatti a base di brisket, brisket burger, pulled pork, ribs, hamburger. Tutte le lavorazioni sono realizzate in modo artigianale. È importante avere una persona di riferimento che possa impostare la linea di produzione in maniera corretta. È un valore aggiunto che permette di distinguersi e crea quell’identità necessaria a diventare riconoscibili agli occhi del cliente”. 

“Dieci anni fa dicevano che quella delle steak house era solo una moda destinata a finire presto, ma siamo ancora qua”. Guido Dall’Anese, non ha alcun dubbio sul fatto che costoro si sbagliavano. Però il cliente non è più quello di 10 anni fa.
Secondo Dall’Anese la progettazione di una steak house deve essere molto accurata e la stesura di un menù studiata nei minimi dettagli: “Serve una conoscenza approfondita delle materie prime che si desidera impiegare e come impiegarle, valutando un’infinità di varianti che comprendono la logistica. Non si può inserire in menù un numero di piatti e tagli di carne che non si è in grado di gestire correttamente. La carne è un prodotto delicato ma spesso mi trovo a correggere modi di lavorare che non tengono conto degli spazi nei frigoriferi, per esempio. Sono molte le domande che dobbiamo farci: cosa metto in menù? Cosa sto comprando? Come lo preparo? Dove lo metto? Per troppa leggerezza, magari dettata da entusiasmo, si paga lo scotto”. 


Cosa mettere in menù e come farlo l’ha deciso con razionalità Christian Ranuschio che, tra le colline delle Langhe e ad Alba città, è alla guida di due locali in stile western, solo bistecche e nient’altro. “Ho fatto una scelta precisa – spiega Ranuschio – lavoro soltanto vacca vecchia piemontese per due motivi, per etica e per scelta. Ho deciso di impiegare solo animali oltre i 10 anni d’età: tutti contenti, anche i clienti, perché non si spreca nulla. Questo però significa che per ottenere un buon prodotto occorre grande competenza e per ottenere competenza bisogna studiare. Oggi tutti vogliono scottona, noi vogliamo vacca vecchia, ma quanti sanno esattamente cos’è una scottona? (la vacca che non ha ancora figliato n.d.r.). E’ ora che la gente impari a studiare; ci sono libri, c’è internet, ci sono scuole e corsi; ci sono giornate e iniziative di formazione come quella di oggi per la quale dobbiamo ringraziare persone come Luca Codato e Ecod che fanno un grande lavoro per offrirci queste opportunità. Amici macellai e ristoratori cogliete queste occasioni! Solo in questo modo potrete fare un locale diverso dagli altri. Oggi non si può più andare a caso, bisogna specializzarsi e documentarsi”.

Sonia Re, Donato Turba e Matteo ScibiliaSonia Re, Donato Turba e Matteo Scibilia

Il Rifugio La Pavoncella di Christian Ranuschio accoglie 2500 persone al mese, in cima a una montagna ma “facciamo un’azione di approfondimento e comunichiamo un valore”. Il Luxory Steak di Alba, poi, è un locale speciale, di alto profilo ma, conferma Ranuschio “risponde a quello che la gente vuole: professionalità e conoscenza”. 

 

Identità di un mestiere, identità di un prodotto 

“L’identità è il punto focale, di un macellaio, di un allevatore, di un ristoratore. È quell’elemento che fa la differenza”. Lo afferma Donato Turba, erede di una dinastia di macellai in Lombardia: la sua Antica Macelleria Turba a Melzo può vantare oltre cent’anni di storia. Nel 2014 ha aperto una steak house a Rivolta d’Adda e per legami familiari si occupa anche di allevamento.
“Per una piccola attività – afferma Turba – avere un’identità riconoscibile è molto importante. Vuol dire identificarsi con la qualità del prodotto. L’essenza del nostro mestiere consiste nel far bene le cose, è ciò che ci distingue dalla massa perché sarebbe inutile scontrarsi con le grosse realtà”. 

È un percorso di filiera, quello che caratterizza Donato Turba e la sua famiglia, che si è sviluppato semplicemente facendo una cosa – secondo lui – molto semplice e naturale: “L’allevamento di vacche da latte ci forniva gli animali che non erano più in età da latte, vacche a fine carriera, come si dice, pronte per il macello e la trasformazione. A un certo punto abbiamo pensato di inseminare le vacche di Frisona con Angus e attraverso una linea di allevamento vacca-vitello abbiamo ottenuto animali idonei alla produzione di carne, geneticamente predisposti all’ingrasso. È stato un percorso abbastanza lungo ma oggi abbiamo animali di 18 mesi in grado di fornire 130/150 kg di carne, con carni sapide, marezzate, ottime per la vendita e per la ristorazione. Paghiamo il prezzo di una resa bassa, naturalmente, ma la qualità è eccellente”.  

da sin. Luca Terni, Donato Turba, Matteo Scibilia, Christian Ranuschio e in piedi Luca Bonacinida sin. Luca Terni, Donato Turba, Matteo Scibilia, Christian Ranuschio e in piedi Luca Bonacini

Unire le competenze per uno scopo comune

Si intuisce uno dei maggiori problemi per la ristorazione: la lavorazione della carne è un procedimento complesso, che richiede competenza ed esperienza. Luca Terni, macellaio da generazioni, volto noto in televisione e ristoratore di successo, spiega come la competenza tecnica nella lavorazione della carne sia un attributo indispensabile. “Se sei un ristoratore e fai grandi numeri – afferma Terni – devi essere in grado di processare la carne, non puoi soltanto comprare la tartare già battuta o la lombata già pulita e pronta. Imparare a disossare, permette di acquistare una coscia intera o una mezzena con innegabili vantaggi economici e di resa del prodotto. Se impari a fare un roast beef con la noce e un’infinita varietà di preparazioni con tagli meno pregiati puoi azzerare gli sprechi. Non serve fare meno, mangiare meno carne; serve fare meglio. Contro il consumo smodato di carne possiamo suggerire l’uso moderato ma consapevole, etico e ragionato”. 

Torniamo all’importanza della formazione, dello studio e dell’applicazione, che vuol dire anche  rispetto per l’animale.

E si arriva al punto dolente, quello della penuria di personale o di personale adeguatamente formato. “La chiave vincente, davanti a un cliente sempre più preparato, è guardare ed essere avanti”. Matteo Scibilia, ristoratore di lunga esperienza, dirigente FIPE e docente di scuole alberghiere, sostiene il ruolo del ristorante quale testimone del territorio. “Il cibo permette di raccontare – afferma Scibilia – e noi siamo operatori e custodi del territorio. Quarant’anni fa nel mondo della carne abbiamo cominciato a importare le carni marezzate, una novità per l’Italia, e abbiamo insegnato ai cuochi che cos’era la carne grassa, che ancora oggi è la migliore. Ma bisogna saperla cuocere nel modo corretto, bisogna saper gestire le temperature. Oggi dobbiamo insegnare i nostri cuochi a replicare e trasmettere questi valori, questa qualità”.

Manualità, conoscenza, esperienza, dimestichezza. Occorre trasmettere queste capacità affinché i depositari ne comunichino il valore ai consumatori. 

Ecco che la collaborazione tra macellaio e ristoratore diventa il segreto per la buona riuscita di un piatto, di un menù, di un’attività di ristorazione. “La ristorazione è carente di personale – afferma Scibilia – ormai è assodato. Sarebbe bello poter lavorare le carni in cucina utilizzandone ogni parte e ogni taglio. Ma spesso non si può. Ecco che unire le competenze e le capacità di professionisti diversi diventa importate: chi lo fa di mestiere, il macellaio, e chi trasforma in cucina, il cuoco, devono unire le forze. Perché da solo non ce la fa più nessuno”. 

La soluzione, dunque, passa ancora una volta attraverso le vie della cultura, termine che può perfino spaventare ma che sta alla base di un progetto, ogni progetto. E lavorare in questa direzione sembra essere l’unica via per una ristorazione dove “carne” significhi qualità e futuro. Aldilà delle mode, aldilà delle tendenze alternative. 

La via è tracciata, prossima tappa iMEAT Fiera a Modena dal 23 al 25 marzo 2025.

da sin. Guido Dallda sin. Guido Dall'Anese, Donato Turba, Sonia Re, Luca Bonacini, Matteo Scibilia
a cura di

Marina Caccialanza

Milanese, un passato come traduttrice, un presente come giornalista esperta di food&beverage e autrice di libri di gastronomia.
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