Poche settimane fa ho partecipato al Forum dell’economia digitale, organizzato dai Giovani Imprenditori di Confindustria, apprendendo alcuni dati su cui è importante riflettere.
Il primo, raccontato da
Marco Gay, presidente dei Giovani Imprenditori di Confindustria, mette in evidenza che
il ritardo digitale del nostro Paese costa due punti di Pil e 700.000 posti di lavoro. A questo si aggiunge un’analisi comportamentale che vede quattro imprenditori su 10 dichiarare che Internet non serve alla loro impresa. Salvo poi scoprire che l’84% delle aziende fallite nell’ultimo periodo non aveva un sito web.
Molti altri sono stati gli spunti di quella giornata, in cui il mondo food aveva un ruolo tra gli altri, ma non certo da protagonista principale. E qui arriva la seconda riflessione: il settore del food, della ristorazione, del beverage, non è così centrale come immaginiamo possa essere vivendoci dentro ogni giorno. Ogni tanto fa bene una boccata d’altra aria!
Tornando al tema del digitale diventa importante affrontarlo partendo da una considerazione:
avere la visione chiara di vivere l’innovazione come opportunità e non come rischio.
In Italia, secondo i dati FIPE, è ancora troppo piccola –
intorno al 10% - la percentuale di chi ha dimestichezza con il digitale nel mondo della ristorazione.
Basta fare un giro sul web e si scoprono
i danni collaterali di migliaia di siti fatti in serie da società che, fino a pochi anni fa, vendevano pacchetti di quattro pagine. In un momento in cui andare al ristorante è vissuto come un’esperienza, l’immagine che ci restituiscono molti di questi siti è il contrario dell’invito.
Resta ancora un’impresa prenotare online in un ristorante perché molti ristoratori vivono la psicosi del no-show (il tavolo prenotato e non occupato) confermando che, per loro, il digitale è un rischio e non un’opportunità; basterebbe chiedere la carta di credito a garanzia, come si fa in ogni parte del mondo.
Per non parlare delle campagne conservatrici contro il nuovo, penso a Tripadvisor, con cui, volenti o nolenti, bisogna imparare a convivere.
In tutto questo
c’è un mondo che avanza, dove il food delivery sarà sempre più un business di cui i ristoratori, anziché governarlo, saranno vittime privilegiate proprio per la loro scarsa dimestichezza con il digitale e le regole dell’e-commerce. Anche qui, piccola parentesi,
l’Italia che lo pratica è al 5% contro una media europea del 15%.
Ma gli chef sono sui social, qualcuno obietterà. È vero, ce ne sono tanti, tantissimi, anche quelli che hanno un sito ormai vecchio come il mondo, ma in quale modo? Qui vengono in aiuto le parole che
Davide Oldani ha pronunciato al Forum dell’economia digitale: “Il digitale è sicuramente un aiuto, ma il mio è un mestiere che viaggia con le mani e la testa, perché con esse dobbiamo preservare la qualità del prodotto. Nella cucina e nella vita dell’uomo il like non serve”.
In effetti c’è molta attività sui social e molto fuorviante; non basatevi – è un piccolo banale consiglio –
sui like o sui parteciperò quando organizzate una cena o un evento nel vostro locale. Quasi mai corrispondono alla vera, tangibile, voglia di partecipare.
In una parola: impariamo a governare il digitale, a viverlo come un’opportunità, a guardare al futuro cogliendone le parti positive. Sono tante, ma non tutte.
Luigi Franchi
La foto dell’articolo è presa in prestito dal sito www.food-marketing.it