A testimoniare la decrescita in atto nel nostro paese vi è un dato economico piuttosto inquietante che l’Istat ha rilevato su base annua ad ottobre e cioè che la differenza tra gli incrementi di stipendi e l'inflazione è salita all’1,7% che, considerato che il precedente record era a 1,3 punti percentuali, si tratta del divario più alto dall'inizio dei rilevamenti nel 1997. Ciò perché l’aumento delle retribuzioni contrattuali orarie è stato dell’1,7%, mentre il livello d’inflazione ha raggiunto il +3,4% e nella media del periodo gennaio-ottobre 2011 l'indice è cresciuto dell'1,8% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Scende all’11% anche il tasso medio di risparmio degli italiani in relazione alla tipologia di professione: il lavoratore dipendente ha visto ridursi la capacità di risparmio di 4 punti, mentre gli imprenditori e autonomi hanno aumentato la loro capacità di risparmio.
Questi dati fanno da cornice alle stime per il 2009-2010, che al netto dell’inflazione e della pressione fiscale ci dicono che l’incremento medio reale dei salari nel biennio è stato di soli 16,4 euro mensili.
E come se non bastasse, da un recente rapporto Ires (Istituto di Ricerche Economiche e Sociali) risulta che nel nostro paese il 10% delle famiglie possiede quasi il 45% della ricchezza complessiva di tutte le famiglie e che oltre 15 milioni di lavoratori hanno uno stipendio inferiore ai 1.300 euro netti al mese, mentre circa 7 milioni , delle quali oltre il 60% donne), sono al di sotto dei 1.000; In fondo alla scala dei redditi stanno più di 7 milioni di pensionati di vecchiaia o anzianità che non arrivano a mille euro netti mensili.
A determinare il complessivo calo dei redditi, a detta degli economisti italiani più accreditati, oltre alla crisi congiunturale contingente hanno contribuito gli effetti di politiche inique, l’assenza di investimenti e il calo della produttività delle imprese italiane che dal 1995 è cresciuta solo dello 0,8%, mentre quella delle imprese tedesche britanniche e francesi dai 20 a i 30 punti.
In Italia infatti paradossalmente maggiore è la dimensione d’impresa, più grande è il deficit di produttività a causa del peso dei settori a bassa intensità tecnologica.