Il lavoro andava benissimo, al punto che Orietta assunse la direzione commerciale di una testata di annunci gratuiti, che andavano molto in quel periodo, acquisita da un editore fiorentino. Gli affari andavano bene, anzi di più, fino a quando fu inviato a Padova (è questa la città dove si svolge la storia) un altro commerciale, uno di quelli anni ’80, molte parole e pochi fatti, che non legò mai con il territorio, con le aziende, fino a far fallire il piccolo gioiello che Orietta aveva contribuito a creare. “Mi dimisi prima che la mia reputazione finisse in briciole. La reputazione è l’unica cosa importante per chi crede in quello che fa e io ci tenevo moltissimo, molto più dei soldi” continua Orietta.
Che fare? Andare a far colazione nel bar accanto, dove Orietta andava ogni mattina.
È lì che entra in gioco Roberta. Lavorava in quel bar, ma stava pensando di andare in Brasile.
“Ti raggiungo per una vacanza” le disse Orietta, “tanto, per ora, non ho nulla da fare”.
In Brasile condivisero tempo e libertà. Poi Orietta e Roberta tornarono a Padova, molto più amiche di prima, molto più legate e consapevoli dei pregi e difetti l’una dell’altra.
“Mi chiesi cosa mancasse a Padova. – riflette Orietta – Una città così ricca, vivace grazie all’università. E scoprii che c’erano solo due enoteche, poteva starcene una terza, anche se non sapevo nulla del vino. Fu così che con Roberta cominciammo a fare progetti, ci iscrivemmo a un corso di sommelier, iniziammo a girare per cantine. Le prime volte eravamo spaesate ma è stato proprio in quei momenti che abbiamo scoperto la bellezza del vino, le persone che fanno questo di professione. Un lavoro che ami o è meglio non farlo. E amare la terra, il paesaggio, ciò che ne viene fuori è semplicemente straordinario. I vignaioli ci accoglievano nelle loro cantine, con pazienza, insegnandoci cosa volevano dire le loro bottiglie”.