Innovativa come sempre! Donatella Cinelli Colombini, per il suo Casato Prime Donne a Montalcino e della Fattoria del Colle nel Sud del Chianti, ha portato dall’Università di Bordeaux Valérie Lavigne, a ricoprire l’incarico di enologa.
In questi anni l’esperta francese ha affinato ulteriormente la conoscenza dei suoli e dei vigneti italiani che le ha permesso di rafforzare il suo concetto di fare vino di eccellenza. Si tratta di un opposto alla globalizzazione, ma non è neppure la difesa strenua e poco produttiva del piccolo è bello. Anzi, la sua visione permette ai vini italiani di diventare davvero un punto di riferimento della qualità nello scenario internazionale.
Per Valérie Lavigne “le varietà autoctone che producono un grande vino – il Sangiovese del Brunello, per esempio - sono sempre coltivate al loro limite Nord. Cioè sono coltivate dove è più difficile, raggiungere una completa maturazione. E' in queste condizioni che l’espressione dell’ uva è la più originale e la più inimitabile. Allo stesso modo le varietà internazionali come Merlot, Cabernet Sauvignon o Chardonnay, che crescono in Borgogna o a Bordeaux sono nel loro limite più a Nord. Gli aromi di queste varietà, in queste situazioni climatiche, sono unici e identificabili. Se coltivati in zone con climi più caldi o più secchi possono dare buoni vini ma non grandi vini perché la loro espressione aromatica perde il suo particolare carattere”.
Sostanzialmente ribalta l’opinione comune che il Merlot è uguale ovunque. Per lei “il segno distintivo di un territorio è avere un sapore riconoscibile che fa grande un vino, il sapore che è la specifica espressione di una o più varietà di uva cresciuta in una determinata regione. Senza questa autentica impronta del terroir non ci può essere diversità. La ricerca di qualità è quindi, secondo me, indissolubilmente legata ai concetti di territorio, identità e quindi diversità”.
Da qui l’intuizione: “Penso che sia il momento di studiare blend fra varietà autoctone, cioè di produrre vini collegati a uno specifico territorio quindi con un sapore riconoscibile e inimitabile. Perché non immaginare la combinazione di colore, potenza, bassa acidità e forte tannino del Sagrantino con la maggiore delicatezza, maggiore acidità e meno colore del Sangiovese? È la qualità del tannino di ciascuna delle due uve che deve guidare il blend. Ma ci sono probabilmente altre strade per esplorare ed approfondire. Penso a un’altra varietà dell’area centro italiana come il Colorino”. Che sia il momento dei superitalians?
Per saperne di più:
http://www.cinellicolombini.it/