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Educazione: una parola da recuperare

23/10/2020

Educazione: una parola da recuperare

Siamo tornati indietro. In tutti i sensi. I numeri del Covid instillano paura, i ricoveri e i morti sono ancora all’ordine del giorno e le misure adottate non sono altro che muoversi con la paura di urtare l’economia, di non tornare alla primavera scorsa. Le parole utilizzate – coprifuoco – e la lettura solo dei numeri non servono ad altro che ad alimentare rabbia, sfiducia, paura. Sostantivi che non lasciano presagire nulla di buono. I ristoratori in piazza in questi giorni la esprimono tutta, con posizioni estreme che non sono mai il viatico per affrontare e risolvere i problemi. La gente se ha paura e sfiducia non esce, quindi poco importa se si chiude alle 23 o alle 24.
Su questo il sistema federalista delle nostre istituzioni non risolve di certo i problemi. Dove ognuno è libero di fare, senza una regia, si complicano ulteriormente le cose.
Usare le parole giuste è un compito primario per chi governa un Paese e una delle parole più importanti da utilizzare in periodi dove vige l’inquietudine dell’incertezza non è mai stata pronunciata, in questi otto mesi: educazione!
Educazione dei cittadini a rispettare le regole, educazione nel portare la mascherina, nel rispettare correttamente le distanze, e non distanziamento sociale (termine profondamente negativo); piccoli gesti, piccoli impegni che ogni persona è in grado di adottare e su cui è stato fatto molto poco o nulla.
Parlare di educazione e non di coprifuoco forse servirebbe di più, perché fa leva sull’intelligenza delle persone: un bene che non viene sufficientemente utilizzato.
E poi, risolvere i problemi veri, quelli che più di ogni altra cosa sono i diretti espansori del virus: i trasporti pubblici, ad esempio, e non i ristoratori, le movide assurde in alcune vie o piazze e non i bar, secondo esempio.
I ristoranti, in questi mesi, sono stati tra i settori che meglio hanno adeguato le normative e, infatti, sono minuscoli i casi di focolaio causati da una cena al ristorante. Ma non è con le proteste di piazza che si risolvono i problemi: soprattutto per un settore che offre il piacere e il benessere, argomenti che di fronte alla malattia e alla morte non sono proprio all’ordine del giorno.
Quindi smettiamola di fare scelte a cipolla, tipo quelle che si stanno mettendo in atto: se bisogna chiudere facciamolo ora, non a Natale. Facciamolo se questo serve a rallentare l’espandersi del virus ma con la consapevolezza di dare informazioni e utilizzare parole per il futuro. Le persone non sono stupide, sanno comportarsi nel modo più giusto, aiutiamo questa tendenza.

Luigi Franchi

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