Dopo 184 giorni passati all’insegna di un evento, all’inizio diviso tra expottimisti e expopessimisti e poi sempre più apprezzato fino a raggiungere i 21,5 milioni di visitatori, che ha raccolto un numero infinito di opinioni , riflessioni, denigrazioni, apprezzamenti è venuto il momento di capire cosa ci resta da fare.
Perché una sola cosa è certa: non si può sprecare il grande patrimonio di idee e conoscenza che questa esposizione universale ha lasciato alle comunità.
A cominciare da una diversa visione del modello agricolo italiano, ben raccontato e altrettanto analizzato dagli oltre 140 Paesi presenti ad Expo. Partire da qui significa accantonare le futili critiche rivolte ad Expo come grande carrozzone tra il fieristico e il festaiolo. Ad Expo bastava osservare con attenzione per capire quanto contenuto avessero da offrire tutti i paesi espositori.
L’Italia ha portato alla luce l’orgoglio nazionale, si legge da più parti, e questo è probabilmente vero. Ma più che l’orgoglio per aver assolto nel migliore dei modi ad un evento internazionale, credo sia utile ribadire cosa l’Italia ha saputo mostrare e dimostrare nel settore del cibo.
Innanzitutto la propria biodiversità produttiva e alimentare; un valore che esalta l‘unicità del nostro Paese che, attraverso le sue culture, le sue produzioni, i suoi territori, può davvero diventare la prospettiva primaria per competere sui mercati globali ed essere modello di riferimento per stili di vita e di benessere.
Parole chiave come sicurezza alimentare sono l’altro elemento che è emerso prepotentemente dalla presenza italiana in Expo, attraverso convegni, eventi dei territori, presentazioni di start-up e di imprese consolidate ma comunque orientate alla ricerca e all’innovazione; non è trascurabile ribadire il messaggio che, sotto questo aspetto, siamo il Paese che offre le migliori garanzie in termini di tracciabilità e rigore produttivo, a tutti i livelli dal piccolo artigiano alla grande industria.
Infine la civiltà: nelle persone che hanno frequentato e visitato Expo, la cui percezione la si è avuta nelle lunghissime file dove, per una volta, nessuno ha fatto il furbo ma anzi sono diventate occasione di nuove relazioni. Ma la civiltà sta anche in quello straordinario melting pot di culture gastronomiche che si sono offerte ai visitatori di Expo; dalla possibilità offerta da Eataly di scoprire davvero le cucine regionali dell’Italia, alle proposte di ogni padiglione che ha fatto a gara per raccontare, spiegare, far capire cosa si cela dietro un piatto tradizionale per l’identità, ma anche per il futuro e la speranza di ogni nazione.
Questo ha dimostrato Expo ai suoi 21,5 milioni di visitatori e agli altri milioni di uomini e donne che ne hanno visto le immagini e i contenuti in tutto il mondo: che un mondo diverso è possibile, grazie all’alchimia di pensieri, progetti e azioni che in questi sei mesi si sono messi in evidenza.
“Abbiamo seminato tanto” ha affermato il ministro Martina. È vero! Ora bisogna che il raccolto sia fertile.
Luigi Franchi