La cucina italiana avrà futuro se passerà attraverso quella del passato, quando una materia scolastica (economia domestica) insegnava a gestire la casa come un’azienda, soprattutto riguardo la spesa e la nutrizione. Con il tempo, purtroppo è caduta in disuso, sia nei programmi educativi che nelle nostre cucine.
Non è un richiamo nostalgico, sono ben consapevole che viviamo, come mai prima d’ora, in un’epoca di progresso. Sono ben felice che siano cambiate le condizioni di vita di categorie, come quella dei contadini e dei cuochi, che fino a pochissimi anni fa erano simbolo di mestieri di fatica disumana.
Ma è proprio da quelle condizioni, dove l’ingegno umano era fervido per necessità virtù, che dobbiamo trarre gli insegnamenti, o quanto meno non disperderli, per migliorare ancora di più la qualità della nostra cucina.
Infatti, mai come in questo momento, si sente la necessità di recuperare quelle competenze e quei talenti che permettono di acquistare i prodotti giusti e di sfruttarli in tutte le loro potenzialità per portare in tavola piatti buoni e poco costosi, senza riempire la pattumiera di preziose risorse che possono avere nuova vita. Personalmente non riesco neanche ad immaginare come l’utilizzo di materiali e prodotti meno nobili e celebrati possano dare vita a pietanze saporite dal gusto educativo.
Perché parlo di gusto educativo? Per i tanti pericoli che una semplice voglia di gustare, a volte, può causare. Mi preoccupa pensare che siamo il secondo paese, dopo gli Stati Uniti d’America, per obesità infantile; questo fenomeno avrà ricadute drammatiche se non avviamo un percorso di educazione alimentare tra i ragazzi di oggi. Fa indignare che, nel paese simbolo della dieta mediterranea, della biodiversità più fervida che esiste, nella infinita varietà di ricette popolari, vantiamo questo primato. La cucina italiana non è questo: un piatto di tortellini non rende obesi!
Continuare in quella direzione, al di là dell’aspetto meramente economico e del danno sociale, il rischio è quello di veder andato perduto l’immenso patrimonio culinario che ci contraddistingue nel mondo: le paste, sia secche sia fresche e ripiene, le varietà infinite di ortaggi che contraddistinguono la cucina meridionale, i pesci del Mediterraneo, i salumi, i formaggi, le carni a partire dall’animale intero.
Ecco che diventa fondamentale, per salvaguardare la cucina dei campanili italiani, ripensare un percorso formativo dove al cuoco, in attività o come scelta futura, venga insegnato, ad esempio, il sezionamento degli animali e l’impiego di tutte le sue parti anatomiche. Non è accettabile che, nell’immaginario collettivo dei bambini, una gallina abbia solo la coscia o in una vacca ci sia solo la fettina.
Imparare queste, come molte altre, tecniche vuol dire evitare ogni tipo di spreco e mantenere proprio quel tratto identitario della cucina italiana che è cucina di casa: dove non si gettava via niente!
Franco Cimini
Osteria del Mirasole