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Filippo Di Bartola, a Pietrasanta

13/07/2017

Filippo Di Bartola, a Pietrasanta
“In sala, ma anche in cucina, deve uscire una parte di noi stessi”. A sostenere questa teoria è Filippo Di Bartola, ristoratore dal 2008 (anno di inizio di ‘Filippo’) ma legato in maniera indissolubile a questo mestiere da quando, nelle estati dell’adolescenza, dava una mano alla zia nella pensioncina a Forte dei Marmi.
Dietro a quella frase c’è il credo di Filippo Di Bartola, che lo ha portato a scardinare la catena di montaggio in cui, molte volte, si esprime il mestiere di cuoco e ristoratore. L’esempio lo si era visto nel suo primo locale, aperto semplicemente perché “lo volevo con tutto me stesso”, confida Filippo; una trattoria, semplice fin che si vuole in quel di Pietrasanta, ma con l’ambizione di “divenire una moderna trattoria italiana, competitiva con il nuovo e capace di parlare un linguaggio snello e veloce”.
La scommessa è stata vinta in pochi anni, sufficienti a far sì che Filippo Di Bartola guardasse oltre, partendo da quell’ingrediente, come lui stesso lo definisce: “la consapevolezza delle nostre capacità”.
Filippo Di Bartola, a Pietrasanta
Da Filippo a Filippo Pietrasanta
La trattoria c’è ancora, adesso si chiama La Brigata di Filippo e i giudizi sono unanimi: “Massimi voti in tutto: personale cortese e professionale, ottima cucina, arredato con gusto e giusto rapporto qualità prezzo.” È uno dei commenti presi a caso su Tripadvisor che ne delineano il grado di soddisfazione.
La brigata è responsabile in toto del successo e della gestione del locale perché Filippo Di Bartola è andato oltre, pur guardando con occhio attento alla crescita della trattoria e alle opinioni dei clienti. Si è spostato di qualche centinaio di metri, sempre nel magnifico centro storico di Pietrasanta, per aprire, dall’inverno scorso, Filippo Pietrasanta; un ristorante senza menu, agli esordi, che ha scatenato la curiosità mediatica di molte testate. Noi abbiamo aspettato un po’, non per snobismo né per qualche dubbio. Semplicemente ci siamo arrivati dopo, quasi per caso (grazie all’inaugurazione di una mostra e all’invito di Gianni Mercatali, un serio professionista della comunicazione). E siamo rimasti colpiti dalla visione imprenditoriale di Filippo Di Bartola che, nel nuovo locale, si esprime in ogni dettaglio. A partire dal tavolo dello chef che non è il classico angusto spazio ricavato in cucina, ma attinge alla concezione giapponese del tavolo con vista sulla cucina, appoggiato a pochi metri dai piani di lavoro che consente un dialogo sereno e informale con lo chef Lorenzo Barsotti, da anni in perfetta simbiosi con Filippo Di Bartola.
Il suo curriculum è frutto di un percorso che lo vede accumulare esperienze al Celler de Can Roca in Catalogna, da Valeria Piccini al Caino di Montemerano e i due anni in quella Locanda dell’Angelo di Angelo Paracucchi che ha scritto un pezzo fondamentale nella storia della ristorazione italiana.
Filippo Di Bartola, a Pietrasanta
Lorenzo Barsotti

Mentre il curriculum di Filippo Di Bartola viaggia su un registro diverso: dopo le stagioni dalla zia, la prima esperienza d’impatto avviene al banco del bar Forte America a Forte dei Marmi, dal 1995 per cinque anni; un passaggio all’Enoteca Marcucci a Pietrasanta; l’approdo, come responsabile di cantina all’Enoteca Pinchiorri (Fu lui a servire gli ispettori Michelin nell’anno della terza stella); infine, dal 2003 al 2007, all’Enoteca L’olio e il vino di Lorenzo Viani a Forte dei Marmi.
Nel 2008 apri il tuo primo locale, Da Filippo. Cosa hai pensato quel giorno?
“Che lo volevo. A tutti i costi. Quando lasciai l’Enoteca Marcucci ricordo che dissi: non ho soldi, ho investo su Filippo o non posso fare diversamente. Trovai la fiducia nel mio progetto da parte del direttore di banca e, da quel momento, cominciai a costruire il mio futuro professionale. Forse il locale di adesso nella testa c’era già dieci anni fa, ma ero consapevole dell’esperienza che non avevo. Quindi pochi piatti, sei in tutto ma ogni giorno diversi. Avevo una cuoca di casa, senza nessuna esperienza di cucina di un ristorante, ma con lei ho giocato sull’emozione e il plauso dei clienti. Ed è diventata una grande cuoca. Quel giorno, il primo di apertura, era uscito un articolo sul quotidiano locale e ricordo, da solo in cucina, che piansi come un bimbetto”.
Come hai scelto quel tipo di cucina e di servizio e come hai formato la tua brigata?
“Ho girato tanto. Era fondamentale vedere quali erano i locali pieni, perché erano pieni. E dove la gente stava più a suo agio per trovare la formula vincente. La cucina è venuta di conseguenza. Noi tutti proveniamo da una cucina molto semplice, fatta di sapori che tornano alla mente e ti riempiono il cuore di ricordi. Quello volevo e quello, anche qui dove la ricerca è più spinta, rimane il fulcro. Con la brigata, invece, faccio sempre un lungo colloquio non per capire quale esperienza o quali ambizioni, bensì per chiedere ai miei ragazzi cosa non piace di questo mestiere. Solo così vengono alla luce i problemi e si cercano le soluzioni. Il gap generazionale a volte inibisce il confronto, invece bisogna avere il coraggio di mettersi nelle loro mani”.
Qual è la tua ambizione nell’aprire questo nuovo locale?
“Ho deciso di aprire un altro ristorante perché avevo voglia di completare il lavoro in maniera diversa. La mia ambizione parte sempre dal cliente. Da lui ho avuto la forza di capire che questo è il mio mondo. In realtà volevo fare il giornalista, poi lavorando in questo ambiente, giorno dopo giorno, il cliente mi ha messo questo pungolo: poter dare un prodotto più completo possibile. In questa città, nella Versilia, c’era lo spazio per fare qualcosa di più”....

fine prima parte...continua

Luigi Franchi

Foto di Andrea Moretti

 

 
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