Ha ragione Gennaro Esposito: trovare le giuste parole per tradurre fedelmente un pensiero o una sensazione non è sempre cosa immediata. Talvolta però la risposta ai dubbi è già sotto i nostri occhi, come nel caso delle definizioni di ingrediente e di sostanza. Letteralmente, dal latino ingredior, per ingrediente si intende ciò che è dentro alla materia, le parti delle quali si compone; la sostanza, dal latino substantia, definisce quello che invece è sottostante, oltre la parte sensibile della materia stessa. Dentro vs Sotto. Questo l’esordio del ricco intervento a Identità Golose di Gennaro Esposito, l’uomo che solo sentendolo parlare fa venir voglia di assaggiare qualcosa di buono.
In risposta al main theme del congresso milanese, “oltre il mercato” per il cuoco di Vico c’è una fotografia dell’Italia vista dal resto del mondo con colori troppo sbiaditi o artefatti, a cui i cuochi stessi possono con orgoglio e tenacia riparare esaltando e pretendendo autenticità: “Spesso associamo il concetto di prodotto a quello di ingrediente in modo superficiale, quando invece siamo di fronte ad una sostanza, cioè a quell’ingrediente che ha una storia, un territorio, un valore aggiunto, le mani e il cuore di chi lo ha prodotto, anche se non si vede” afferma Gennaro Esposito.
“Nel mondo la cucina italiana non vive lo stesso entusiasmo che cerchiamo di preservare qui. Non c’è un’organizzazione volta all’approvvigionamento delle sostanze, già a pochi chilometri da casa è difficile reperire un prodotto autoctono. Forse è l’approccio di noi cuochi ad essere poco rigoroso, poco sensibile all’importanza di interpretare una ricetta senza contraffarla”. La sostanza è cultura, e la cucina italiana nutre se stessa di sostanze: “Siamo sempre stati un Paese dai prodotti semplici ma unici, a cui il capo cuoco dava il valore aggiunto, come il direttore di un’orchestra, attraverso la tecnica e la creatività. Ma prima di tutto viene il prodotto. Se le tecniche possono viaggiare, diamo loro più valore e facciamo cucina di sostanza prima che di ingredienti.”
Considerazioni che meritano da parte dagli addetti ai lavori più di una riflessione.
Veniamo alla pratica: Gennaro Esposito dirige i fedelissimi Giuseppe di Martino e Luigi Lionetti, già di loro sicuri, che con precisione chirurgica, e di sostanza, dimostrano nei piatti la differenza che può fare un ingrediente interscambiabile con un prodotto inevitabile per la storia di quella ricetta: prende vita quindi la quaglia cotta nel burro a 59°C per 24 ore, aromatizzata con il finocchietto marino, una pianta che crescendo ai bordi del mare porta con sé un aroma di salino unico, che nobilita la quaglia, servita con un pesto di pistacchio e alici. Si compone sotto i nostri occhi un trittico bilanciato dal baccalà fritto senza farina, cipollotto nocerino dop appassito e spadellato con la mela annurca croccante. “Se non ci fosse la mela annurca non avrei pensato a questo piatto. La mela è l’ingrediente, la mela annurca è la sostanza”. Si conclude con un omaggio alle strade campane, perché in ogni angolo di mondo ci sono le sostanze, e vanno riconosciute: i piedini a muso di vitello lessati e mangiati nel cartoccio con sale, limone e pepe vengono ricomposti come uno stuzzichino elegante e aromaticcati con il sale delle acciughe. “La cucina italiana è così: dici che cavolo è questo, poi lo assaggi e lo porti con te tutta la vita.” Dite la verità: vi è venuto appetito?
Per info:
www.torredelsaracino.it
Alessandra Locatelli