Roberta Corradin, penna del giornalismo che di recente ha aperto con il marito il ristorante Il Consiglio di Sicilia a Donnalucata (RG), ci ricorda cosa accade in una cucina quando arriva un cliente celiaco: una zona viene ripulita a fondo, una persona della brigata si dedica esclusivamente alla preparazione del piatto gluten free dopo avere cambiato la giacca da lavoro e lavato con cura mani e braccia fino al gomito, e lo stesso cameriere effettuerà il servizio separatamente. Una procedura doverosa per evitare ogni possibile rischio di contaminazione, che, però, come alcuni ristoratori denunciano, risulta talvolta del tutto inutile. Inutile perché può accadere che il cliente che si era dichiarato celiaco forse era solo leggermente intollerante, oppure magari soltanto desideroso di provare il gluten free, per curiosità o spaventato da tutto ciò che capita di leggere e sentire su glutine e dintorni. Era tanto poco celiaco da allungare serafico la forchetta nel piatto del proprio commensale, incapace di resistere alla tentazione di assaggiare una cozza al pangrattato. E meno male che non era pure vegano… Perché anche su questo fronte non mancano i casi ambigui di quanti, dopo essersi dichiarati tali e aver richiesto un menu ad hoc, si sono poi lasciati sedurre dai gamberi o dal tortino al cioccolato del proprio vicino.
Forse oggi ciò che è diverso è diventato di moda, e per sentirsi di moda c’è anche chi si dichiara vegano o affetto da celiachia pur non essendolo.
C’è poi anche il caso di chi non avrebbe alcuna necessità particolare ma, visto che un commensale ordina un piatto “speciale”, debitamente segnalato al momento della prenotazione, cambia d’emblée i propri desiderata per richiedere lo stesso, incuriosito dalla novità. Come chef e ristoratori ben sanno (ma i clienti evidentemente no), questo porta a rivedere l’intera organizzazione della cucina e a un rallentamento del lavoro che si ripercuote sulla preparazione e sul servizio a ogni altro tavolo.