“Fermati se vedi qualcosa che possa fare al caso nostro!”
In un sabato mattina di maggio lo chef Alessandro Gilmozzi è in raccolta. È bastato pochissimo per capirlo: la nostra telefonata si è (piacevolmente) interrotta con questa frase rivolta ad uno dei suoi ragazzi.
Riprende: “Scusaci. Siamo in uscita nei boschi della val di Fiemme, alla ricerca di ciò che ci è concesso portare a casa: erbe, bacche, aromi, profumi. Porto spesso i ragazzi con me così respirano e colgono l’essenza della montagna, prima di trasferirla con coscienza in cucina”.
Incipit che avvalora la tesi che avevamo: è lei, la montagna, nella sua espressione più ampia e diversificata, il fulcro dei pensieri e dei progetti per lo chef e patron del ristorante El Molin di Cavalese.
Oltre a metterci le radici di vita, a Cavalese (piccola cittadina in quel di Trento) Alessandro sperimenta da più di vent’anni. Appena può sguscia fuori dalla cucina per andare a sondare gli umori del bosco, delle rocce e degli animali che vivono in quest’area. Rientra, puntuale, con la sacca zeppa di idee e buoni odori, di fiori, di licheni e frutti. Passano tutti al vaglio di un’accurata selezione, quindi vengo scomposti, concentrati, cotti, essiccati, e se ne escono come nuove memorabili creazioni.
L’anno scorso la cosa è andata un po’ oltre. Oltre la cucina intendo.
Nel Wine Bar El Molin, attiguo al ristorante, Alessandro e l’allora sous chef (e attualissimo amico) Andreas Bachmann hanno ideato un distillato, una delle novità più interessanti in ambito gin. Ha un nome che rimane: Gilbach.
Gilbach è un gin multi-anima. Due, come quelle dei suoi inventori. E tre, come le tre botaniche straordinarie impiegate nella distillazione: la bacca di sambuco, la prugnola selvatica e il ginepro. Tutte essenze chieste in prestito alla montagna e ben impresse sull’etichetta (vedi foto).