Si è tenuto nei giorni scorsi al Teatro della Terra -Biodiversity Park in Expo, alla presenza di Maurizio Martina, ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, il convegno organizzato da Granarolo in cui sono stati presentati i risultati dell’indagine “Etichettatura, tutela, sicurezza ed educazione alimentare”.
Realizzata dall’Osservatorio permanente sulla Filiera italiana del Latte “Mangiar Sano, Filiera Italiana”, la ricerca ha coinvolto 1.021 cittadini italiani, da Nord a Sud, svelando interessanti esiti che definiscono l’atteggiamento dei nostri connazionali su etichette alimentari, made in Italy e filiera agroalimentare.
Il 95% del campione giudica importanti le etichette ma, ciononostante, solo il 18% le legge integralmente, concentrandosi su data di scadenza (63%), ingredienti (50%), loro provenienza (49%) ed eventuali presenze di sostanze dannose (37%).
Quasi la totalità degli interpellati (95%) conosce il significato di almeno una delle più comuni certificazioni europee in materia agroalimentare (Dop, Doc, Igt, Docg), ma se si chiede di specificarne la differenza sopraggiunge qualche difficoltà, a esclusione della sigla Doc, in assoluto la più nota. Passando a considerare, più nello specifico, le etichette dei prodotti lattiero-caseari, cinque intervistati su sei prestano attenzione alle informazioni in esse contenute. Per l’84% sono interessati principalmente alla data di scadenza, al luogo di origine delle materie prime (61%), all’elenco degli ingredienti (57%) e alle modalità di conservazione (52%), e circa la metà ritiene importante il luogo di trasformazione e confezionamento (45%).
È un buon 52% a conoscere la differenza tra latte standard e latte di alta qualità, mentre nessun intervistato conosce il significato della dicitura “leggero/light”, che in base al Reg. CE n. 1924/06 identifica un prodotto con il 30% in meno di grassi rispetto al prodotto di riferimento. Sono invece in pochi (il 29%) a conoscere il significato di “Yogurt Con” (con aggiunta di altri prodotti), e solo la metà sa dire con certezza la differenza tra data di scadenza e termine ultimo minimo di conservazione, quello, cioè, superato il quale il prodotto può ancora essere consumato, nonostante si siano modificate alcune caratteristiche organolettiche.
In generale, una delle maggiori esigenze espresse è la trasparenza riguardo la provenienza. Circa la metà degli intervistati non conosce il significato di “prodotto in Italia”, vale a dire trasformato in Italia e prodotto non necessariamente con materie prime italiane. Tanto che una percentuale non trascurabile (31%) ritiene erroneamente che la dicitura si riferisca all’origine italiana delle materie prime. È comunque il 96% degli interpellati a ritenere importante un prodotto realizzato con materie prime nostrane e il 73% è addirittura disposto a spendere di più per avere la certezza dell’origine e della provenienza italiana.
A conclusione dell’indagine, i principali fattori che per i consumatori esprimono il concetto di legalità della filiera alimentare sono: l’indicazione dell’origine delle materie prime (95%), il rispetto degli standard di sicurezza alimentare (94%), il luogo di trasformazione (91%), l’aderenza a standard di rispetto e tutela dei lavoratori impiegati nella filiera (48%) e la presenza del marchio registrato (42%). “I risultati dell’indagine mettono in luce il valore della qualità della materia prima e di come questa sia percepita importante dai consumatori italiani nella produzione di un prodotto alimentare – ha commentato Gianpiero Calzolari, presidente di Granarolo –. Emerge la necessità di importanti sforzi per informare i consumatori sulla filiera produttiva italiana, la conoscenza degli aspetti nutrizionali e della sicurezza alimentare attraverso un lavoro congiunto di tutti, in primis istituzioni, mondo associativo e industria alimentare, come negli obiettivi dell’Osservatorio che abbiamo costituito”.
Mariangela Molinari