Con la proprietà intellettuale non si scherza. Nemmeno in cucina. Perché anche un piatto (e soprattutto certi piatti), esattamente come ogni altra opera artistica e dell’ingegno, merita di essere tutelato dal diritto d’autore. Ingredienti, ricetta, design, ma anche gusto e aromi: che ogni componente debba essere soggetta a ‘copyright’ è fermamente convinto Gualtiero Marchesi, che lo scorso 13 novembre è stato protagonista alla Triennale di Milano di un insolito mock trial, un processo simulato, insieme a Guido Rossi, suo ex collaboratore.
L’oggetto del contendere? Una delle icone del maestro: il Riso Oro e Zafferano, trasformato in caso da manuale per rispondere alla domanda che ha dato il via all’incontro: quali possibilità di tutela si possono (debbono) prevedere per il food? I fatti sono presto detti. Rossi ha il privilegio, per un certo tempo, di collaborare ai fornelli di Marchesi e di poterne così carpire gli insegnamenti e le ricette in ogni dettaglio. Dopo una serie di contrasti, però, decide di aprire un proprio ristorante, inserendo in carta un piatto identico a quello del maestro, denominandolo Risotto Oro e Zafferano, Omaggio a Marchesi: stessa presentazione con tanto di foglio d’oro e medesimo prezzo, ma non stesso tipo di riso utilizzato, dal momento che il Carnaroli dell’originale è sostituito con il Basmati, non adatto a un risotto e, in questo caso, pure di bassa qualità. Risultato: una sorta di imitazione che finisce con lo svilire anche il piatto che pretenderebbe di omaggiare.
A Marchesi, dunque, non resta che rivolgersi all’autorità giudiziaria, rivendicando la tutela dei propri diritti e accendendo un dibattito di notevole interesse e attualità, in un ‘processo’ che ha chiamato a raccolta, in platea, giornalisti e blogger, avvocati e professionisti del gusto, e ha previsto pure un consulente tecnico d’ufficio (la dott.ssa Cinzia Simonelli, del Centro Ricerche dell’Ente Risi Italiano), per chiarire le differenze tra i due tipi di riso e l’inadeguatezza del basmati per il piatto in questione.
La discussione, con tanto di avvocati per entrambe le parti, si è dipanata attorno a un nodo centrale: il 14 dicembre 2002 Marchesi ha registrato il design comunitario che riproduce il piatto e il risotto nella sua presentazione finale. Lo chef ritiene, quindi, che lo stesso impiattamento possa essere tutelato anche sotto il profilo autoriale e che l’immagine del piatto, con o senza la dizione ‘riso, oro e zafferano’, sia tutelabile come marchio. Il punto, insomma, è la difesa di un’idea, anche in questo specifico caso, esattamente come per ogni altro tipo di creazione e opera d’arte.
Il verdetto? La Corte ha dichiarato la validità della registrazione del piatto riso, oro e zafferano come marchio di forma e come disegno registrato, e la sua tutelabilità, ai sensi dell’art. 2 n. 10 della Legge sul diritto d’autore, in quanto dotato di creatività e valore artistico. Ha inoltre giudicato Guido Rossi responsabile di contraffazione e della violazione del marchio di forma, del disegno registrato, del diritto d’autore, oltre che di atti di concorrenza sleale sotto il profilo dell’imitazione servile, del rischio di denigrazione del prodotto di parte attrice, di violazione di legge e di comportamenti contrari alla correttezza professionale. Con effetto immeditato, quindi, è stata inibita l’offerta in pubblico del piatto, la commercializzazione e la pubblicizzazione in qualsiasi forma da parte di Rossi, condannato al risarcimento dei danni in favore di Gualtiero Marchesi, da liquidarsi in separato giudizio.
C’è da scommettere che, sebbene si tratti di un processo simulato, la sentenza farà storia. È necessario e doveroso riconoscere che creazioni gastronomiche di un certo tipo, simbolo e icona di chi le ha concepite, sono proprietà intellettuale e tutelabili, di conseguenza, al pari di ogni altra espressione dell’umano intelletto.
Mariangela Molinari