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“Guarda dove mangi. Ceramica in tavola”, un prezioso libro di Martina Liverani

08/05/2025

“Guarda dove mangi. Ceramica in tavola”, un prezioso libro di Martina Liverani

Se "L'uomo è ciò che mangia", Martina Liverani con questo libro ci fa capire che è anche “dove” mangia, su quali piatti valorizza il suo cibo




Gli antichi romani erano convinti che nel nome di una persona fosse racchiuso il suo destino. A indirizzare l’attenzione di Martina Liverani verso il cibo e la tavola, a partire dalla ceramica, è stata invece la sua città, Faenza, capitale mondiale della maiolica, tanto che universalmente si utilizza la parola faïence per indicare il tipo di ceramica maiolicata che lì si produce. A Faenza ci sono oltre cento botteghe artigiane che portano avanti la tradizione o sperimentano linguaggi e forme contemporanee. Soprattutto c’è il MIC – Museo Internazionale delle Ceramiche, il più importante al mondo, un luogo magico dove ammirare opere piene di arte e di storia, dall’antichità alla contemporaneità. Nella preziosa biblioteca del museo, Martina Liverani ha trascorso lunghe giornate di studio e ricerca per arrivare a scrivere il volume riccamente illustrato Guarda dove mangi. La ceramica in tavola, Polaris Editore, un invito a compiere un viaggio per botteghe, tavole e cucine, tra passato e attualità. Scrittrice, giornalista, gastronoma e fondatrice della rivista Dispensa, che nel 2017 ha vinto il Gourmand World Cookbooks Award come miglior rivista di cibo italiana e seconda miglior rivista di cibo al mondo, il suo sguardo indaga il legame profondo tra le ceramiche, gli alimenti che sono destinate a contenere e le persone che le usano.

Scrive Antonia Klugmann, chef de L'Argine a Vencò, nella sua nota in aperture del volume: Ho capito con il tempo che non esiste almeno per me il piatto perfetto, ma esiste una relazione magica che si crea tra contenuto e contenitore, un dialogo in movimento. Mi emoziono ancora moltissimo quando la mia idea di pietanza trova il suo posto in un bel piatto per il commensale. 

Massimo Isola, Presidente AiCC-Associazione Italiana Città della Ceramica, nella sua prefazione dichiara: Guarda dove mangi rappresenta una sorta di atlante illustrato della ceramica per la tavola in Italia, un libro dove geografia, storia e cultura sono tenute sapientemente insieme da Martina Liverani: uno strumento per orientarsi in questa grande ricchezza culturale, artistica e gastronomica, per comprendere il valore di questi oggetti che popolano le nostre tavole. 

“Guarda dove mangi. Ceramica in tavola”, un prezioso libro di Martina Liverani

All’infinita varietà delle cucine regionali e locali si affiancano in Italia ben 57 Città della Ceramica, il che induce a pensare che la cucina di territorio trovi una naturale presentazione nelle ceramiche che da quelle parti vengono prodotte con caratteristiche assolutamente distintive.

Il rapporto simbiotico fra le pietanze e il recipiente in cui vengono servite è evidenziato anche dall’adozione della parola “piatto” per richiamare in forma sintetica il preparato che risulta da una ricetta: piatto tipico, primo piatto, piatto del giorno, il mio piatto preferito… Martina Liverani ci ricorda anche che il verbo “impiattare”, passato dagli schermi televisivi alle tavole domestiche, venne inserito nello Zingarelli nel 2013, mentre il Devoto-Oli e la Treccani lo fanno un anno dopo e l’Accademia della Crusca dedicò una scheda a questo nuovo termine solo nel 2015.

Piatti in ceramica, semplice e smaltata, privi di qualsiasi decoro, dalla metà del 500 iniziano a soppiantare i poco igienici piatti in legno e metallo nelle mense dei pellegrini o dentro le mura monastiche, quando un decreto del neoeletto Papa Pio V ordina a vescovi e cardinali di bandire dalle tavole le vecchie stoviglie sostituendole con quelle in maiolica. Faenza, Deruta, Gubbio, Casteldurante e Urbino furono fin da subito le capitali della ceramica dividendosi fra piatti e scodelle di uso comune e manufatti preziosi, come imponeva il gusto rinascimentale, che arrivavano fino ai monumentali piatti e zuppiere cosiddette “da pompa”, destinate a essere ammirate durante i banchetti.

Una vera rivoluzione a tavola avvenne quando il cosiddetto servizio alla francese, che prevedeva tutte le portate predisposte contemporaneamente a disposizioni degli ospiti, venne soppiantato dal servizio alla russa, caratterizzato dalla presentazione singola dei piatti e dalla loro porzionatura in sala, nato nel 1810 grazie al principe russo Alexander Borisovich Kurakin, ambasciatore dello zar in Francia.

Da allora assunsero sempre più importanza forma e decorazione dei piatti e delle ciotole, passando dalla semplicità della ciotola conventuale a quella di Buddha a quella hawaiana, fino a quelle giapponesi per la cerimonia del tè che vedono il loro apice nella matericità della ceramica Raku, tecnica nata nel XVI secolo.

Non dimentichiamo che i giapponesi hanno elevato ad arte la presentazione del cibo, moritsuke, secondo i tre elementi che governano l'estetica di un loro pasto tradizionale: la scelta dei cibi da servire, dei piatti in cui servirli, l’esatto posizionamento di ogni pezzo. 

“Guarda dove mangi. Ceramica in tavola”, un prezioso libro di Martina Liverani
“Guarda dove mangi. Ceramica in tavola”, un prezioso libro di Martina Liverani

La scoperta delle sorprendenti porcellane cinesi stimolò una lunga ricerca in Europa per cercare di riprodurre stoviglie di quella qualità e leggerezza. Si dovette aspettare il 1708 perché il principe di Sassonia potesse ottenere i primi buoni risultati dal lavoro di un alchimista e di un fisico grazie ai quali di lì a poco venne fondata la Manifattura di Meissen, vicino a Dresda, che fu subito capitale europea della porcellana, cui seguirono quelle inglesi, olandesi e francesi, intorno a Limonges.

Nel 1861 fu la Manifattura Ginori Doccia ad anticipare quello che molto tempo dopo si sarebbe sviluppato come brand marketing, chiamando Carlo Lorenzini, in arte Collodi, a scrivere un fascicolo storico informativo sulla propria produzione. Negli anni Venti del Novecento, la società ceramica Richard Ginori chiamò il neolaureato in architettura Gio Ponti a ricoprire il ruolo di direttore artistico “sfornando” dei pezzi oggi ricercati da musei e collezionisti.

A seguire, altre manifatture artigianali incaricarono pittori, architetti e noti designer per elaborare forme e decorazioni. Si pensi anche alla ceramica futurista che vide spiccare le creazioni di Tullio d’Albisola, Riccardo Gatti e di quel poliedrico artista totale che fu Fortunato Depero.

Superati i tempi in cui il piatto bianco era considerato un supporto neutro buono per ogni preparazione, la nouvelle cuisine e la nuova cucina italiana, guidata a Milano da Gualtiero Marchesi, rafforzarono il binomio forma-sostanza anche nell’adozione di particolari modelli e colorazioni dei piatti. Esemplare rimane il Riso in foglia d’oro di Marchesi, servito su un piatto nero, mentre la crostatina di Massimo Bottura, Oops! Mi è caduta la crostata al limone, veniva servita su un piatto in ceramica che simulava il riassemblaggio dei suoi cocci.

Quanta ragione aveva l’artista giapponese Kitaoji Rosanjin quando nel 1935 dichiarava: “Se i vestiti fanno la persona, i piatti fanno il cibo”, affermando insomma che è l’abito che fa il monaco. La forma si fa sostanza perché le persone tendono a percepire gli elementi come un’unica entità piuttosto che come parti separate. È evidente quindi che una bella ricetta acquisti valore quando ben disposta su un piatto adeguatamente scelto. Non sono pochi gli chef che elaborano ricette pensate per i piatti o le ciotole in cui porle, e se ne fanno realizzare con particolari forme e colori simbiotici con certe loro preparazioni, così il piatto diventa veicolo di comunicazione. 

Se "L'uomo è ciò che mangia", con questa sua opera Martina Liverani ci fa capire che si rispecchia anche “dove” mangia, su quali piatti valorizza il suo cibo.

a cura di

Bruno Damini

Giornalista scrittore, amante della cucina praticata, predilige frequentare i ristoranti dalla parte delle cucine e agli inviti nei salotti preferisce quelli nelle cantine. Da quando ha fatto il baciamano a Jeanne Moreau ha ricordi sfocati di tutto il resto.

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