La crisi continua a mordere e a preoccupare. Dopo quasi cinque anni di pesante recessione, era lecito aspettarsi una pausa o almeno un rallentamento. Non è così: i consumi interni arrancano o decrescono con poche speranze per l’immediato e l’export non è in grado di pareggiare i dati negativi della crisi interna. Una scarna ma quanto mai reale analisi della situazione che non lascia spazi ad ottimismi.
Volendo entrare nello specifico e guardare i numeri del settore agroalimentare, ci accorgiamo che l’industria di trasformazione del comparto ricopre ancora (e per fortuna) una posizione strategica nel Paese. Mantenendo infatti la seconda posizione per importanza del manifatturiero italiano, l’agroalimentare nonostante le crisi è riuscito a preservare, salvo nell’ultimo semestre, dati quasi sempre positivi nel saldo tra import ed export. Nel periodo della crisi, tra il 2007 e il 2013, l’industria alimentare ha segnato un calo nella produzione di 3,4 punti, contro il meno 24 del totale industria. Questa capacità del settore conferma non soltanto una posizione di vertice nelle graduatorie economiche della contabilità generale, ma attribuisce all’industria di questo comparto una spiccata vocazione all’export e un ruolo fondamentale nel sostenere l’economia del Paese.
Se si guardano i dati in un periodo ancora più ampio, 2000 – 2013, l’industria alimentare registra una crescita della produzione a dati grezzi dell’8,6% a fronte di un -22,8% dell’industria manifatturiera.
Restringendo il focus alle previsioni 2013 il settore veniva visto in leggera crescita alla voce export, ma gli ultimi dati a disposizione sembrano spegnere questi umori attribuendo all’alimentare un calo dell’1% che sta lasciando l’amaro in bocca a tutti. Cosa stia succedendo non è facile da spiegare e le ragioni possono essere diverse.
Alcune di queste risposte per esempio si possono trovare nell’ultimo numero della rivista online
www.italytosavour.com,
disponibile sul nuovo sito internet che funge da piattaforma alla rivista indirizzata a 20 mila operatori esteri che fanno del food italiano il loro principale motivo di business.
Tra i diversi interventi raccolti direttamente dagli operatori sia tra chi produce, come da chi acquista, emerge una difficoltà di fondo che denota un sistema logistico e di reperibilità delle merci ancora molto fragile e frammentato. Un esempio sono i ristoranti che ci hanno testimoniato i loro problemi, costretti ad acquistare in Italia direttamente perché nel loro paese un sistema distributivo organizzato che vende prodotti italiani o non esiste o è in mano a stranieri che speculano volutamente sui prezzi per tenerli non competitivi rispetto i prodotti locali o, ancor peggio, rispetto a prodotti di altri paesi diretti concorrenti al nostro. A noi sembra paradossale ma stanno crescendo i paesi all’estero dove i prodotti italiani sono distribuiti prevalentemente da catene del retail di paesi terzi (spesso sono francesi, inglesi o tedesche).
Le cose da fare si conoscono, i prodotti buoni da esportare li abbiamo e gli strumenti per comunicare pure, bisogna fare sistema andando oltre le parole e cominciare a pensare in grande.
Roberto Martinelli