Esiste un termine che ben descrive un comportamento adottato dalle nazioni di tutto il mondo negli ultimi anni, ed è Heritage Fever. La cosiddetta febbre del patrimonio è una crescente enfasi che i paesi applicano alla conservazione, celebrazione e valorizzazione dei propri beni culturali che scaturisce probabilmente in risposta all’incertezza e alla rapidità dei grandi cambiamenti globali. Questa "febbre" porta le persone a riscoprire e reimmaginare la propria storia e tradizione come un caposaldo della propria identità e autenticità e spesso viene vista come una reazione involontaria alla globalizzazione o, se vogliamo, alla modernizzazione, dove elementi del passato vengono evidenziati al fine di fornire una parvenza di stabilità, in un mondo sempre più sfaccettato e che viene percepito come confuso.
Della Heritage fever sono state vittime molte nazioni nel corso degli anni, Italia compresa, ma uno degli esempi più emblematici di questa corsa al riconoscimento purché avvenga, è senza dubbio stato il caso del formaggio Halloumi.
Tipico delle zone che si affacciano sulla sponda sud orientale del mediterraneo e con tutta probabilità introdotto dagli arabi in seguito all’invasione di Cipro del settimo secolo, questo prodotto è stato candidato al riconoscimento della DOP dalla stessa Repubblica di Cipro nel 2009.
La domanda fu però oggetto di varie contestazioni, dovute al fatto che una sola nazione volesse attribuirsi la paternità di un formaggio ben più diffuso nella regione, e in parte venivano contestati anche i metodi di realizzazione descritti nel disciplinare presentato.
Il formaggio, infatti, è sempre stato prodotto localmente in piccole quantità e con latte di capra, ma a partire dagli anni 70 entrando nel mercato di massa, le grandi aziende casearie iniziarono a produrlo su larga scala, standardizzandone il processo, per soddisfare sia la domanda interna che quella esterna, in costante aumento. Il problema nacque dal fatto che quello che si voleva proteggere era proprio l’Halloumi industriale, che però, per reggere i ritmi della domanda, veniva prodotto con latte vaccino, che lo rendeva un prodotto completamente differente dall’originale. Questo fece insorgere i produttori locali, che avrebbero visto le loro produzioni esclude dal riconoscimento.