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I Cuochi italiani nel mondo, autentici alfieri del Made in Italy

10/12/2024

I Cuochi italiani nel mondo, autentici alfieri del Made in Italy

foto di copertina: un momento della preparazione delle 2059 pizze, record entrato nel Guinness dei Primati


La cucina italiana ha un patrimonio di esperienze diffuso nel mondo, fatto sicuramente di materie prime e ricette, ma, soprattutto, di persone che, nei decenni, hanno solcato i mari e sorvolato i cieli, stabilendosi in ogni continente. Un serbatoio ricco di varietà, come lo sono le cucine regionali italiane, che ha contribuito a portare ovunque i piatti della nostra tradizione, alimentando la voglia d’Italia che tanti stranieri hanno per tutto ciò che sappiamo fare, nell’arte, nell’architettura, nella moda e così via fino alla cucina.

Questi testimoni preziosi sono certamente i nostri cuochi, più o meno noti, che, nell’ambito di manifestazioni a carattere internazionale, si confrontano con i colleghi di tutto il mondo, ma lo sono, soprattutto, quei professionisti, espatriati, che, ogni giorno, lavorano nei ristoranti di tutto il mondo.

 

Stiamo parlando di una categoria di connazionali che, da quasi 25 anni, è riunita, in forma di comunità virtuale, dalla sigla ItChefs-GVCI (Gruppo Virtuale Cuochi Italiani).

L’idea venne nel 2001 a Rosario Scarpato, giornalista, firma del Gambero Rosso, ancora oggi direttore delle operazioni degli eventi organizzati dal gruppo, e a Mario Caramella, presidente del sodalizio, cuoco, entrambi allora residenti in Australia. Si scambiarono gli indirizzi mail dei primi 50 colleghi che rispondessero agli stessi requisiti: professionisti della ristorazione, in prevalenza cuochi, italiani o che cucinassero italiano, che vivessero e lavorassero in giro per il mondo. All’originaria mailing list, attiva per 15 anni, si è sostituita una chat di WhatsApp per tenersi in costante contatto con centinaia di membri (ma ci sono anche le pagine e i gruppi Facebook).

 

Ne scriviamo a pochi giorni dalla conclusione della XV edizione del Summit della Cucina Italiana nel mondo, “Italian Cuisine World Summit”, un’occasione per fare il punto sulla promozione della cucina Italiana fuori dall’Italia, sulla storia del gruppo, su ciò che l’Italia, come Paese, sta facendo in tal senso.

L’impegno dello Stato è più recente, con l’istituzione della Settimana delle Cucina Italiana nel mondo, giunta alla IX edizione (che, non a caso, fu presentata a Dubai, nell’VIII edizione del Summit, dall’allora Ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina). 

Si può tranquillamente affermare che le iniziative di Itchefs-Gvci siano state prodromiche all’intervento istituzionale. Con la Giornata Internazionale delle Cucine Italiane (“International Day of Italian Cuisines” - 15 edizioni) che celebra, ogni anno, un piatto simbolo della nostra tradizione, servito in contemporanea in migliaia di ristoranti in tutto il mondo, passando attraverso il Forum della Cucina Italiana, fino al Summit, i cuochi italiani all’estero hanno mostrato la strada da percorrere. Tutte iniziative pensate a supporto dei cuochi, ma che riguardano il business della ristorazione italiana - certamente redditizio, ma ormai, solo in minima parte, in mano italiana - e la promozione del made in Italy agro-alimentare.

Foto di gruppo di alcuni cuochi partecipanti al Summit (a sinistra Bobo Cerea)Foto di gruppo di alcuni cuochi partecipanti al Summit (a sinistra Bobo Cerea)

Ogni tanto le attività si incrociano, così come successo lo scorso novembre con gli eventi del Summit, inseriti nel programma della Settimana della Cucine Italiana. Non solo le cene di Gala ad Abu Dhabi e Dubai, ma anche la conquista del Guinness dei primati per il numero di “pizze sostenibili” cotte e servite in beneficenza (2059 pizze per una linea di 676,76 metri), hanno dato lustro al programma ufficiale di ICE e Ministero degli Esteri.

 

Un riconoscimento del valore professionale e organizzativo dei cuochi (e dei ristoratori) italiani che, tuttavia, molto probabilmente, come leggeremo dalle parole di Scarpato, proseguiranno per la propria strada, non ritenendo la forza e la qualità di quanto riescono a esprimere in tutte le iniziative rispetto a quelle istituzionali, purtroppo spesso chiuse nelle ambasciate, riservate a pochi addetti ai lavori. Un peccato, perché sfruttare la spinta dei professionisti che vivono il Paese oggetto delle promozioni sarebbe il modo migliore per fare bene alla nostra cucina.

 

Interessante, dunque, conoscere il parere in merito di Rosario Scarpato, approfittando per un commento sui temi trattati da Itchefs-GVCI dal 2001 a oggi.

Purtroppo la Settimana della Cucina italiana nel mondo ha finito con il penalizzare le iniziative preesistenti, creandone altre non necessarie o addirittura facendo loro concorrenza, anche sleale, perché, magari per ragioni politiche, hanno più fondi a disposizione. Stiamo pensando seriamente di evitare la concomitanza, spostando il Summit (che mobilita decine di cuochi stellati Michelin dall’Italia e altrettanti ristoranti e Hotel, a Dubai, ma anche in altri Paesi) in un altro periodo dell’anno.”

 

Nel frattempo, notiamo che la fisionomia della categoria sta registrando un cambiamento importante e interessante. Sono, infatti, i ruoli di sala e di governance a crescere, facendo diventare determinante la figura del manager della ristorazione. 

La recente scomparsa di un grande ristoratore italiano, Gianfranco Sorrentino, a New York, richiama l’attenzione anche su una categoria della ristorazione italiana nel mondo, quella dei ristoratori appunto, nell’accezione più vasta, che include imprenditori e manager di ristoranti. Una categoria che non ha avuto le fortune mediatiche dei cuochi, ma che è determinante per il modello di ristorazione italiana di successo fuori dall’Italia. Mi piace citare, accanto ai leggendari Piero Selvaggio, Julian Niccolini e Marco Magnaghi, i manager ancora in servizio: Pino Piano a Hong Kong, Ron Di Stasio a Melbourne, Gero Fasano a Rio De Janeiro, Beppe De Vito a Singapore e Marco Boito al Cipriani di Dubai.

 

In chiusura, chiediamo a Scarpato se ci sia qualcos’altro che val la pena di sottolineare?

“In realtà si affacciano anche altre tematiche con cui la ristorazione italiana all’estero deve fare i conti. Il Made in Italy non può essere più difeso a oltranza come nel passato. Prima di tutto perché le proprietà di centinaia di marchi sono passate in mani non italiane, ma anche perché non è più il solo simbolo di autenticità. Sta prendendo piede all’estero un “made by italians” che, forse, garantisce di più: si tratta del lavoro e dell’inventiva di italiani, che usano metodi e tecnologie italiane, ma fanno ingredienti all’estero. I casi sono tanti e bisognerebbe iniziare a prenderne atto in qualche maniera, darebbe un vantaggio competitivo a tutti.

Riprenderemo questo tema, importante per il concetto stesso di Made in Italy.

a cura di

Aldo Palaoro

Giornalista ed Esperto di Relazioni Pubbliche, da quando non si conosceva il significato di questo mestiere. Ha costruito la sua professionalità convinto che guardarsi in faccia sia la base di ogni rapporto. Organizza corsi di scrittura e critica gastronomica.
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