A pochi giorni dal più importante degli appuntamenti per capire come va il vino nel mondo, ossia Vinitaly in programma a Verona dal 7 al 10 marzo
, Nomisma ha presentato il suo strumento d’indagine per conoscere in tempo reale i cambiamenti in atto a livello di mercati e consumi:
Wine Monitor, questo il nome, concentra l’apporto scientifico di analisti economici e di mercato, di esperti di comunicazione, promozione ed internazionalizzazione del vino, oltre che alla collaborazione con enti ed istituti in grado di fornire informazioni di mercato utili alla comprensione delle tendenze in atto: tra questi figurano Symphony IRI, Demetra e Borsa Merci Telematica Italiana.
Il debutto del progetto e del sito -
www.winemonitor.it - è avvenuto il 3 aprile con la presentazione di alcuni dati che, seppur in parte già conosciuti, diventano estremamente interessanti se inseriti, come hanno fatto a Nomisma, in un contesto che prevede anche indicazioni strategiche messe a disposizione. Oltre agli andamenti del consumo Wine Monitor dà dettagli su normative, vincoli, accise, tassi di cambio aiutando il produttore a decifrare quei paletti che regolano l’ingresso del vino negli altri Paesi.
Nel mondo, l’Italia condivide con la Francia il gradino più alto del podio per produzione ed export di vino:
nel 2012 l’Italia ha esportato 21 milioni di ettolitri di vino, la Francia 15 milioni. Sul fronte dei valori però la graduatoria si ribalta. Nello stesso anno, infatti, i francesi hanno ottenuto da queste vendite oltre frontiera circa 7,9 miliardi di euro mentre gli italiani si sono dovuti accontentare di 4,7 miliardi.
Fino a poco tempo fa, l’Italia condivideva con i francesi anche il primato dei consumi di vino, ma da un po’ di anni a questa parte ha dovuto cedere la seconda posizione agli Stati Uniti e le dinamiche di mercato lasciano credere che entro un lustro dovrà abbandonare il podio a favore della Cina. Anche in questo caso i numeri sono più eloquenti di qualsiasi affermazione: la Francia consuma quasi 30 milioni di ettolitri di vino, gli USA 28,5 milioni, l’Italia poco più di 23. La Cina, che oggi ricopre la quinta posizione dopo la Germania, si beve 17 milioni di ettolitri di vino. Ma sono le tendenze dell’ultimo decennio a rendere plausibile il sorpasso.
Rispetto a venti anni fa, il consumo di vino in Italia è calato del 37%, in Cina è cresciuto del 520%. Ogni italiano beve mediamente 38 litri di vino all’anno (contro i 60 del 1990), ogni cinese ne consuma meno di due.
Allargando lo scenario di confronto, si scopre che in realtà quello che sta accadendo in Cina è comune a molti altri paesi dove, fino a qualche decennio fa, il vino non faceva parte delle abitudini alimentari nazionali. Il commercio internazionale è infatti passato, nel giro di appena dieci anni, da 13 a 32 miliardi di dollari, a fronte di una produzione e un consumo rimasti nel complesso sostanzialmente stabili. In altre parole, si tende a consumare sempre più vino dove se ne produce di meno. La geografia dei consumi di vino a livello mondiale cambia, al pari degli altri prodotti voluttuari, grazie allo sviluppo del benessere.
Di fronte ad un
consumo interno di vino che nel giro di appena dieci anni è calato del 25%, ai produttori italiani non resta che confidare nell’export. E dopo il primato di vendite oltre frontiera raggiunto nel 2012 - 4,66 miliardi di euro di vini esportati, +6,6% rispetto al 2011 – le stesse imprese sono fiduciose di “stracciare” questo record nel prossimo biennio, non solo contando sul traino dei mercati esteri ormai consolidati (Stati Uniti, Canada, Regno Unito) ma soprattutto sullo sviluppo dei consumi in quelli “emergenti” (Cina, Russia, Brasile e Paesi scandinavi). E’ quanto emerge dall’indagine Wine Monitor 2013 svolta sui principali produttori di vino italiani e che ha visto la partecipazione di circa un centinaio di aziende per un fatturato cumulato di 1,6 miliardi di euro, il 20% circa del fatturato di settore.
Questa fiducia deriva dai trend di consumo registrati nei mercati esteri. Negli Stati Uniti, in un decennio, il valore delle importazioni di vino è praticamente raddoppiato, passando da 2,6 a 5,1 miliardi di dollari. In Russia, è più che quadruplicato, da 233 milioni a 1,1 miliardi di dollari.
In Cina è esploso: le importazioni di vini imbottigliati sono passate da 9 milioni a 1,4 miliardi di dollari.
Ma in questo contesto fatto di molte luci, alcune ombre sembrano segnalare che non tutto va poi così bene. Perché, ad esempio, la quota dell’Italia sull’import di vino imbottigliato della Cina è passata nell’ultimo anno dall’8% al 5,7%? La quasi totalità dei produttori italiani affida i propri vini agli importatori, cedendo in tal modo a terzi le scelte di posizionamento di mercato e di politica commerciale per i propri prodotti, anche quando sarebbe fondamentale presidiare direttamente il paese target, come nel caso dei nuovi mercati “in formazione”, dove cioè i consumatori non sono ancora in grado di scegliere i vini sulla base di un’adeguata conoscenza personale. Ma presidiare direttamente un mercato costa, in termini di risorse finanziarie, umane e strutturali. E in Italia, chi se lo può permettere?
I produttori di vino che possono vantare un fatturato superiore ai 50 milioni sono meno di 30, ai quali si deve il 40% dell’export complessivo.
Questo significa che il rimanente 60% del vino italiano esportato avviene ad opera di piccole e medie imprese, operatori cioè che nella maggior parte dei casi non possiedono un export manager o più semplicemente mancano di quella forza commerciale e organizzativa in grado di rispondere in modo efficace alle sollecitazioni che derivano da questi “nuovi” mercati che nella maggioranza dei casi sono lontani decine di migliaia di chilometri dalla sede aziendale, ma il cui peso relativo nel commercio internazionale è destinato a crescere sempre di più. Un dato su tutti: nel 2002 i BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) incidevano per appena il 2,2% nelle importazioni mondiali di vino, oggi questa rilevanza è arrivata a superare il 9%.