È in corso un dibattito tra i ristoratori sul carrello dei formaggi.
Nell’alta ristorazione ci si sta chiedendo, con i menu degustazione che stanno prendendo sempre più piede, se il carrello ha un senso dopo una cena di otto/dieci portate. Nella ristorazione quotidiana invece la domanda è un’altra: se conviene o se è uno spreco per il ristorante che corre il rischio di buttare via un patrimonio in prodotti e denaro.
Ovviamente la risposta sta, come spesso accade, al centro delle questioni. Nel primo caso non il carrello ma una proposta al piatto, seppur non cucinata dallo chef, esprimerebbe l’attenzione a un prodotto che, oggi, ha tutto il diritto di essere considerato come la autentica professionalità di uno chef di ricerca.
Nel secondo caso, invece, gestire il carrello diventa una vera e propria arte che si dovrebbe imparare per aumentare la redditività e l’attrattiva del locale. Chi gestisce correttamente il carrello (vedi Giancarlo Morelli nei suoi ristoranti, giusto per fare un esempio) afferma che questo servizio porta a guadagnare anche il 30% del totale incassato.
Occorre però una grande conoscenza del settore, cosa non facile e che non si acquisisce in un giorno. I formaggi buoni tra Italia e Francia sono circa un migliaio, per non estendere ad altri territori europei.
Con tutte queste tipologie come si impara a comporre un carrello attrattivo?
Restando in Italia caciocavalli, fior di latte, gorgonzola, groviere, pecorini, formaggi a grana sono solo alcuni dei più celebri e il primo passo è la bravura ad esporli con armonia e intelligenza nel carrello: abbinando, ad esempio, quelli già universalmente conosciuti come il Parmigiano Reggiano in tutte le sue tipologie a tipologie meno note, di piccoli produttori.
Una cosa che va organizzata nel migliore dei modi è la dimensione del carrello: l’imponenza è sicuramente attrattiva ma, in questo periodo, ancor più necessaria è la cura nella selezione, con un’attenzione verso quei formaggi di più lunga durata e stagionatura. Questo evita sprechi che sono all’ordine del giorno in una situazione dove, come accade nella ristorazione in Italia, non c’è più la possibilità di programmare: ogni giorno si presenta diverso da quello precedente.
Si può anche procedere per tipologia prestando attenzione a quanti modi diversi ha un formaggio di presentarsi. Qui torniamo, per un attimo, al più conosciuto dei formaggi italiani ma non ancora del tutto: infatti il Parmigiano Reggiano non è solamente un formaggio a Denominazione di Origine Protetta. Quello che ancora non si conosce a sufficienza è la straordinaria varietà di sapori e stagionature che lo caratterizza.
Oggi il Parmigiano Reggiano si presenta in diverse stagionature che vanno dal minimo di 12 mesi a cento mesi e oltre. Si, avete letto bene: cento mesi e oltre. E questa stagionatura lo inserisce di diritto nei formaggi da meditazione! Ma anche i sapori sono ben diversi: dal Parmigiano Reggiano di montagna a quello bio, da quello prodotto a Parma a quello di Reggio Emilia, Modena, Bologna a sinistra del fiume Reno e Mantova a destra del fiume Po. Ogni territorio offre un ampio spettro di sapori che consentirebbero di essere il solo formaggio in un carrello.
Infine, il carrello dei formaggi ha un altro grande pregio: solleticare l’estro di ogni bravo chef che li può usare, verso la fine, per preparare nuove ricette. Quindi la parola spreco non esiste in un carrello ben organizzato.