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Il cibo in TV

30/01/2013

Il cibo in TV
 

Oggi in televisione, ormai è risaputo, si cucina a tutte le ore. Questo è il risultato di un cambiamento sociale che ha portato il cibo ad essere trasformato da necessità a stile di vita. Sicuramente un bene, se pensiamo ai tempi in cui, spesso, non si riusciva neppure a mangiare.
Tuttavia non è ancora a tutti chiaro che ci stiamo affacciando in un periodo economico che potrebbe lasciare alle spalle il consumismo di massa dove l’emersione dei desideri è ancora predominante rispetto alla necessità dell’ appetito. Ma ancora per quanto? E questi bombardamenti mediatici rischiano di produrre effetti distorti su un rito (quello del cibo) e su un mestiere (quello del cuoco) che, in fin dei conti, altro non sono che storie di materie prime e di persone.
La parodia di Maurizio Crozza su La7 - BastardChef - la dice meglio di molte altre dotte analisi. Ma non vogliamo entrare nel merito della diatriba se sia giusto o sbagliato cucinare a tutte le ore in tv: sicuramente è eccessivo.

A noi interessa riportare (se vogliamo in controtendenza d’antan) la riflessione sul cibo come necessità, valore, tradizione. Perché, come è vero che in Italia non si vive più questa condizione, così non è per molte parti del mondo. E soprattutto non riteniamo giusto che il cibo come stile di vita produca l’enorme spreco alimentare a cui, quotidianamente, assistiamo. Ecco allora che diventano importanti anche altre storie, che non arrivano alle televisioni e di cui raramente la stampa, specializzata e non, si occupa. Storie di osti, di cuoche, di famiglie che in cucina ci hanno speso una vita per sfamare prima (a metà del novecento), per preservare poi facendolo con passione e amore. Preservare una tradizione gastronomica, salvare e riprodurre le ricette della cucina italiana, alleggerirle quel tanto che basta per adeguarle ai nuovi stili di vita ma senza alterarne l’essenza e la qualità delle materie prime.
Ecco, di queste storie vorremo sentir parlare. Forse allora, anche il consumatore diventerebbe più vivo, consapevole e partecipe perché, come scrive l’antropologo Frank Rose “le persone amano le storie e vogliono far parte delle storie”.

 

Roberto Martinelli

 

 

 
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