Applausi sinceri, commozione in alcuni passaggi, uno chef emozionatissimo che esordisce con un’affermazione adolescenziale – “ho le farfalle nello stomaco” - che genera immediata empatia con il pubblico di Identità Golose.
Stiamo parlando di Massimo Bottura, lo chef da sempre acclamato, a tratti idolatrato nelle undici edizioni del congresso gastronomico, ma questa volta ascoltato con rigorosa attenzione per i temi che lui ha affrontato: argomenti come il diritto al cibo, la lotta allo spreco, il recupero della cultura gastronomica.
“Ma non con la nostalgia di una volta c’era… - esordisce Massimo Bottura – Una volta c’era la fame. Il recupero in Italia ci è sempre appartenuto e non è un aspetto degradante, come il consumismo ci ha portato a pensare. Recuperare, dal latino, vuol dire riconquistare, un atto di volontà e di forza”.
Da qui prende le mosse il racconto di quello che succederà ad Expo 2015, grazie al confronto di idee che lo chef ha avuto con Davide Rampello, ideatore del Padiglione Zero dell’esposizione universale, e con Don Giuliano, il parroco del quartiere Greco, periferia milanese, e a seguire con architetti, artigiani del legno (come Maurizio Riva) e altri chef internazionali: recuperare il teatro abbandonato del quartiere per farne un refettorio dove, per i sei mesi di Expo, Bottura e i suoi colleghi internazionali cucineranno, a partire dagli avanzi del cibo e delle materie prime generate dalla grande kermesse. Tutti gratis al lavoro attorno al progetto.
Una grande azione di recupero di cibo e materie prime che Massimo Bottura e i suoi ragazzi hanno materializzato sul palco di Identità Golose in tre ricette ovviamente ridisegnate: la zuppa di pane e latte, i passatelli e un gelato ottenuto con l’estrazione dalle bucce di banana, ispirato dal disco dei Velvet Underground con il celebre disegno della banana di Andy Warhol.
“Il nutrimento riguarda tutti, è alla base dei nostri bisogni ma anche dei nostri diritti. E il nostro ruolo è anche questo, essere cuochi è dare piacere e conforto e uno degli obiettivi di uno chef è quello di ristorare l’anima ed è per questo che ho chiamato l’operazione del Refettorio: Food for soul” dichiara Massimo Bottura e conclude: “Se perdiamo la nostra cultura per il cibo, perdiamo tanto. La nostra identità prima, la nostra dignità poi. Valorizziamo ciò che abbiamo dando dignità ad ogni passaggio, in ogni fase che attraversa la materia prima, dal momento in cui il contadino ci prepara quel tipo di farina a quando noi lo recuperiamo anche secco perché non deve essere un pane perduto. Occorre sapere cosa chiedere per ottenere una risposta. Dobbiamo essere in ascolto perché la nostra esperienza ci insegna a parlare le lingue delle cose che ci circondano. E scartare, buttare significa non essere in armonia con il mondo, significa gettare la spugna”.
Parole serie, che devono davvero accompagnare i nostri gesti quotidiani.
Luigi Franchi