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Il cuoco dell’Ambasciatore: storie di sapori e incontri al N.4 di Grosvenor Square

26/06/2025

Il cuoco dell’Ambasciatore: storie di sapori e incontri al N.4 di Grosvenor Square

Jiri Giorgio Dvorak: radici ceche e anima italiana nella cucina della diplomazia

Si dice che attorno a una tavola ben apparecchiata si prendano le decisioni migliori.
Jiri Dvorak - per tutti, Giorgio - lo sa bene. Ogni giorno cucina per l’Ambasciatore Italiano a Londra, con la delicatezza di chi conosce il potere di un buon piatto. Dalla cucina della nonna a Praga alla cena per il Presidente Mattarella, Giorgio è diventato un vero ambasciatore del gusto, capace di trasformare ogni menu in un messaggio silenzioso di bellezza e cultura italiana.


Le radici: un grembiule troppo grande e il profumo delle zuppe

C’è un’immagine che si ripete, come una fotografia affettiva: un bambino a Praga, il grembiule che gli arriva quasi alle caviglie, e le mani sporche di farina vicino alla nonna. Una nonna cuoca, non per professione ma per vocazione, che gli insegna l’arte delle zuppe e del goulash, tra pentoloni fumanti e il profumo delle patate.
“Lì ho capito che cucinare significava prendersi cura di qualcuno”, racconta Giorgio. Poi il trasferimento in Italia, con la mamma e i fratelli, la scuola alberghiera a Giulianova, l’esperienza nei lidi e nei ristoranti della costa abruzzese. E infine, quel clic.

Un post su Facebook. Uno di quelli che vedi per caso. Lo chef Danilo Cortellini, allora cuoco dell’Ambasciata Italiana a Londra, cerca un giovane stagista. Giorgio risponde, parte. Da lì inizia tutto.

LL'Ambasciata Italiana
La sala da pranzoLa sala da pranzo

La cucina dell’ambasciata: gesti lenti, tensione controllata, rispetto assoluto

Oggi Giorgio è lo chef dell’Ambasciatore. Non un ruolo qualunque, ma una posizione che somiglia molto a una regia diplomatica. “Quando si cucinano pranzi per capi di stato, attori famosi, ministri, non puoi sbagliare. Il tempo non perdona. E nemmeno il risotto”, sorride.

Ogni menu è un abito su misura: si studiano gli ospiti, le eventuali intolleranze, la provenienza culturale. Si scelgono i piatti, si abbinano i vini – rigorosamente italiani – e si bilancia tutto con l’occhio attento dell’Ambasciatore. A tavola, il cerimoniale è rigoroso: prima le ospiti donne, poi a scendere, fino a lui. “Anche questo è diplomazia”, dice Giorgio. “Anche questo è racconto.”

Ospiti illustri e il raviolo del San Domenico

Da questa cucina, Giorgio ha servito piatti per il Presidente Mattarella – un light lunch a base di vitello tonnato, sartù di riso e cremoso al limone. Tra gli ospiti per cui ha cucinato, anche Roberto Bolle, Colin Firth e Stanley Tucci. Ma il piatto che tutti ricordano è uno: il raviolo di ricotta, spinaci e tuorlo intero, servito con Grana Padano, burro nocciola e tartufo. “Un omaggio al San Domenico di Imola. Un lascito del mio maestro e amico, Danilo.” È il piatto che più rappresenta il suo stile: raffinato, ma legato alla terra. Pieno. Sincero.

Made in Italy, senza compromessi

Se si dovesse riassumere in una parola la cucina di Giorgio, sarebbe “fedeltà”. Ai prodotti, ai valori, alla cultura. “Non faccio contaminazioni. Cucino italiano, punto.” La scelta delle materie prime è un atto di rispetto: DOP, IGP, stagionalità, collaborazione con consorzi e fornitori fidati. “Anche se sei a Londra, non puoi perdere l’anima. Il piatto parla per te.”

Il cuoco dell’Ambasciatore: storie di sapori e incontri al N.4 di Grosvenor Square

La cucina come dialogo, il cibo come strumento politico

Giorgio lo ha imparato sul campo: un piatto ben riuscito può sciogliere tensioni, cambiare il clima, persino l’esito di una trattativa. “Succede spesso. Il cibo unisce”, racconta. Non è retorica, è esperienza.

Anche nei momenti più tesi, sa restare lucido. Come quella volta in cui una zuppa inglese, pronta per il servizio e sistemata in eleganti bicchieri di cristallo, finì rovinosamente per terra. Nessun dramma. Si rifà tutto, in tempo record.

Reagisce, rimedia, e soprattutto mantiene la promessa fatta ai fornelli: “Make it nice”, il mantra che ha preso in prestito dallo chef Daniel Humm.
Fallo bene. Fallo con cura. Fallo per gli altri.
 

Il futuro: un ristorantino a Praga

L’Ambasciatore, come da protocollo, cambierà. E Giorgio lo sa. Ma ha già un sogno pronto: aprire un ristorante tutto suo. A Praga, forse. Un luogo dove le sue radici ceche si possano intrecciare con il sapere italiano, con l’eleganza appresa a Londra, con il rigore diplomatico che gli ha insegnato il valore del dettaglio.
“Sarà un ristorante italiano. Sempre. Perché è lì che ho trovato la mia voce.”

In attesa di quel giorno, continua a raccontare l’Italia con le mani e col cuore. Dietro le quinte, lontano dai riflettori, ma sempre dove si costruiscono le connessioni più vere: attorno a una tavola.

a cura di

Ilenia Martinotti

Nel marketing e comunicazione digitale con un cuore che batte per il cibo! Curiosa di natura, sempre alla ricerca di nuove storie da raccontare e sapori da scoprire.
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