La cucina dell’ambasciata: gesti lenti, tensione controllata, rispetto assoluto
Oggi Giorgio è lo chef dell’Ambasciatore. Non un ruolo qualunque, ma una posizione che somiglia molto a una regia diplomatica. “Quando si cucinano pranzi per capi di stato, attori famosi, ministri, non puoi sbagliare. Il tempo non perdona. E nemmeno il risotto”, sorride.
Ogni menu è un abito su misura: si studiano gli ospiti, le eventuali intolleranze, la provenienza culturale. Si scelgono i piatti, si abbinano i vini – rigorosamente italiani – e si bilancia tutto con l’occhio attento dell’Ambasciatore. A tavola, il cerimoniale è rigoroso: prima le ospiti donne, poi a scendere, fino a lui. “Anche questo è diplomazia”, dice Giorgio. “Anche questo è racconto.”
Ospiti illustri e il raviolo del San Domenico
Da questa cucina, Giorgio ha servito piatti per il Presidente Mattarella – un light lunch a base di vitello tonnato, sartù di riso e cremoso al limone. Tra gli ospiti per cui ha cucinato, anche Roberto Bolle, Colin Firth e Stanley Tucci. Ma il piatto che tutti ricordano è uno: il raviolo di ricotta, spinaci e tuorlo intero, servito con Grana Padano, burro nocciola e tartufo. “Un omaggio al San Domenico di Imola. Un lascito del mio maestro e amico, Danilo.” È il piatto che più rappresenta il suo stile: raffinato, ma legato alla terra. Pieno. Sincero.
Made in Italy, senza compromessi
Se si dovesse riassumere in una parola la cucina di Giorgio, sarebbe “fedeltà”. Ai prodotti, ai valori, alla cultura. “Non faccio contaminazioni. Cucino italiano, punto.” La scelta delle materie prime è un atto di rispetto: DOP, IGP, stagionalità, collaborazione con consorzi e fornitori fidati. “Anche se sei a Londra, non puoi perdere l’anima. Il piatto parla per te.”