Tu non hai fatto nessun percorso di studi professionali…
“No. Io ho fatto il liceo classico, una scuola che mi ha permesso di imparare un metodo, indipendentemente da dove lo applichi, che ti dice come si affrontano determinati problemi, in che tempi e con quali stati d’animo”.
Come si determina la flessibilità del servizio, in una cucina come la tua dove l’improvvisazione è quotidiana?
“Da piatti che non possono mai essere slegati dal contesto. Qui si decide a seconda di chi mangia e in questo il servizio di sala assume un ruolo fondamentale. In cucina diventano matti, ma finora mi hanno assecondato, divertendosi anche un po’. È la prima volta che ci troviamo a lavorare in un posto in cui la sala è così forte rispetto alla cucina, mi dicono. In un ristorante normale c’è un menu da cui il cliente attinge, qui invece ho la scelta per poterlo far star bene. Quando mi accorgo che sono timorosi, propongo uno spaghettino alle arselle che stempera il clima e, da quel momento, tutto fila liscio con grande soddisfazione reciproca. Non bisogna aver paura a far da mangiare, non esistono solo gli assaggi. Deve esistere il ricordo di quella cena, o di quel singolo piatto, o di un cameriere divertente. Un passaparola deve crescere ed evolversi perché la comunicazione è alla base di questo lavoro. Che va curata dal di dentro”.
Ha origini siciliane Filippo Di Bartola, la sua famiglia arriva da Noto, la capitale del barocco, ed è approdata a Pietrasanta, un centro di arte e cultura. Il suo è un viaggio nella bellezza e lo ha voluto trasferire e condividere in Filippo Pietrasanta. Riuscendoci!
Luigi Franchi
Foto di Andrea Moretti