Perché molte cose che si sono dette, pur in aperta contraddizione tra loro, restano vere e devono diventare motivo di ulteriore riflessione e dibattito. Ecco, se proprio una conclusione si deve trarre è che il convegno ha spalancato le porte sulla
necessità di guardare al futuro, di non arroccarsi su una visione romantica della pizza napoletana ma di avere la capacità di esaltarne la differenza rispetto alla pizza tout-court. In una parola di
essere consapevoli dello straordinario valore intrinseco, anche in termini di benessere salutistico oltreché di potenziale economico (pur mantenendone le caratteristiche di cibo democratico e popolare), della vera pizza napoletana.
Tornando alle parole di Gianfranco Iervolino, ma anche di molti altri che ho racchiuso in una sorta di
decalogo nella seconda parte dell’articolo, l’esempio dei cuochi è calzante per dire che la questione del forno a legna, a gas o elettrico va vista in funzione di scegliere semplicemente il mezzo migliore per rappresentare un metodo di cottura che comunque non alteri la regola del cerchio magico (©Pignataro) della pizza napoletana:
450 gradi per sessanta secondi. Un tempo e una temperatura che rende digeribile, perfettamente digeribile la vera pizza napoletana, come sostiene
Antonio Pace,
presidente dell’Associazione Verace Pizza Napoletana, rigoroso fautore di un disciplinare che parla chiaro: “Quanti che non digeriscono la pizza hanno mai mangiato la vera pizza napoletana?”