“Io stesso - prosegue - sono un esempio di come l’azienda dia spazio per crescere. È da 28 anni che sono qui”. E ci racconta come dopo 12 anni di business nella moda, nel 1990 sia approdato in Zanussi (già acquisita da Electrolux a metà anni ’80) dove ha rivestito il ruolo di area manager prima nel centro Italia poi al nord. La svolta lavorativa arriva nel 1995 quando viene trasferito a Londra per diventare, l’anno successivo, area manager dell’estero. Il passaggio che segue è a Dubai dove rimane un paio d’anni per poi essere nominato direttore export, per cui inizia ad occuparsi della gestione di quasi tutti i paesi del mondo, eccetto l’Europa dell’est.
Di quest’uomo apprezziamo subito la naturalezza e il brio. Nel suo discorrere è leggibile una grande tenacia, certamente quella che l’ha portato fino qui con una visione a 360°del mercato, perché lui il mondo l’ha girato quasi tutto, e ci piace che racconti l’azienda attraverso la sua esperienza.
Quanto si è evoluta la tecnologia per la ristorazione e quali sono stati i passaggi salienti in questi ultimi anni?
“Negli ultimi 20/25 anni la ristorazione ha fatto passi da gigante grazie alla tecnologia.
Solo negli anni ’90 il parlare di cotture a bassa temperatura, abbattimento di temperatura non era fantascienza ma la maggior parte degli chef aveva una percezione molto limitata di queste cose.
La tecnologia ha aiutato non solo nella cottura, nella conservazione, nel risparmio energetico, idrico ma anche nella programmazione che consente di utilizzare al meglio il tempo diminuendo lo stress in cucina, oltre a - cosa di non poco conto- ottenere un prodotto sicuro, costantemente uguale nel tempo”.
La preoccupazione di Electrolux Professional è che lo chef utilizzi appieno e non parzialmente le attrezzature che gli mettete a disposizione. A questo proposito quanto spazio date alla formazione?
“Gli chef in cucina devono essere sempre più aggiornati, bisogna garantire loro il giusto livello di formazione. Partendo dalla percezione che solo il 50% degli chef fosse in grado di utilizzare al 50% le funzioni di un nostro forno, per fare un esempio, negli anni abbiamo deciso di creare un’importante attività di formazione. E’ nata così Electrolux chef Academy, che conta 110 chef formatori nel mondo (di cui 16 in Italia e sei solo a Pordenone) per aiutare gli chef clienti a capire come usare al meglio le macchine e raggiungere l’eccellenza nella realizzare le proprie ricette. Questo avviene nei Centre of eccellence (18 nel mondo), vale a dire show room attrezzati con cucine funzionanti dove, oltre a mostrare i nostri prodotti, si fa appunto anche formazione”.
La sua personale esperienza, l’ha portata ad affrontare realtà diverse: quanto è importante entrare nella cultura alimentare dei singoli paesi per affrontarne i mercati?
“Per lavorare con altri Paesi, con culture diverse, occorre prima capire come affrontarli, e soprattutto farlo con il giusto spirito e rispetto. Per l’industria due sono le strade per affrontare un nuovo mercato: costruire un prodotto in funzione dell’utilizzo di quel Paese; capire come adattare il proprio prodotto a quello che loro hanno come riferimento. Per fare un esempio, in India si utilizza il tandoori, forno che cuoce ad altissima temperatura, con possibilità di affumicatura. Electrolux Professional avrebbe potuto costruire un forno tandoori oppure cercare di utilizzare un proprio forno per ricreare un prodotto il più possibile vicino al tandoori. Ha optato per la seconda possibilità e lo ha fatto in collaborazione con l’associazione indiana degli chef, ottenendo da loro la certificazione per i risultati soddisfacenti. Il nostro approccio è quello di capire le esigenze e cercare, attraverso le apparecchiature, di avvicinarci il più possibile. Perché siamo noi a doverci adattare e non il contrario”.
Chi decide per l’acquisto di una cucina in Italia? E all’estero?
“In Italia i ristoranti sono perlopiù di proprietà individuale, per cui è lo chef, che è spesso anche il patron, che decide dell’acquisto di una cucina. All’estero, nella maggior parte dei casi, ci sono catene di alberghi che al loro interno hanno ristoranti di livello, di tipologie diverse (ad esempio: italiano, cinese, libanese, giapponese), che il cliente dell’albergo frequenta abitualmente, rimanendo all’interno della struttura. In quest’ottica è comprensibile che diventi importante capire come sviluppare il food & beverage. Negli anni le catene di alberghi hanno sentito la necessità di farsi studiare progetti da un consulente specializzato nell’ideare ristoranti all’interno degli hotel. La figura dello chef è più marginale: in alcuni casi viene coinvolto dall’inizio, in altri subentra nella parte finale. L’azienda deve avere la capacità di tenere il giusto rapporto fra tutti i soggetti coinvolti intorno al progetto, la qual cosa rende questo business complesso”.