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Il luccio e il fiume: storie d’acqua dolce

13/06/2025

Il luccio e il fiume: storie d’acqua dolce

C’è un pesce che sa di fiume e di storia, di mani callose e di ricorrenze segnate in rosso sul calendario popolare. È il luccio, e nelle cucine di Rivalta sul Mincio – borgo poetico e silenzioso del mantovano – non è solo un ingrediente: è un racconto, un rito, un gesto che si tramanda da generazioni.

Il luccio alla rivaltese, in bianco o in salsa, non si limita a nutrire: parla. Racconta di quando la pesca era sopravvivenza e non sport, di quando le cuoche – spesso mamme e nonne – sapevano districare con le dita la selva fitta di lische senza l’aiuto di pinze da chef. Parla di stagioni e di acque, di fiere e di feste. Soprattutto quella del Mercoledì delle Ceneri, che a Rivalta valeva come il Natale: niente scuola, niente pesca, tutti in cucina.

Il fiume Mincio, con i suoi 74 chilometri di curve pigre e canneti mossi appena dal vento, è stato il cuore pulsante di questa tradizione. Le sue valli – zone umide straordinarie, oggi riserva naturale – sono state per secoli la dispensa viva del paese. Qui si pescava e si costruivano batèi, si intrecciavano reti, si calavano le nasse. E si teneva “il pesce in viva”, cioè dentro a speciali casse di legno chiamate bürc, immerse nel fiume per depurare il pesce dall’odore di fango e conservarlo fresco. Un sistema ingegnoso, sostenibile ante litteram, che oggi avrebbe il sapore di un brevetto green.

Il luccio e il fiume: storie d’acqua dolce
Immagini fornite da Elio MariniImmagini fornite da Elio Marini

Ma è in cucina che il luccio rivela il suo lato nobile. Predatore d’acqua dolce, difficile da trattare per le sue carni compatte e piene di spine, è diventato simbolo della capacità contadina di trasformare la fatica in eccellenza.
Il luccio in bianco, preparato con pazienza certosina, viene lessato in un brodo di verdure e aromi, poi spolpato a mano e condito con Grana Padano, olio gentile, limone, pepe e noce moscata. Riposa per ore – meglio giorni – in un contenitore di ceramica o vetro, in frigorifero. Servito a temperatura ambiente, è un’esplosione di gusto garbato e intenso, come sa essere la cucina che non ha bisogno di urlare per farsi notare.
E alla faccia di chi dice che il formaggio non va con il pesce, questa ricetta sa davvero stupire.

La versione in salsa, forse più nota, è un trionfo di acciughe, cipolla, carote, peperoni, prezzemolo, capperi – e amore. Perché questa non è solo una preparazione, è un’identità. Ogni famiglia ha la sua variante. La “vera” ricetta non esiste: esiste quella della nonna, quella della trattoria del cuore, quella che hai assaggiato una volta e non hai più dimenticato.

Il luccio e il fiume: storie d’acqua dolce

La tradizione del luccio a Rivalta non è nostalgia da cartolina, è materia viva. Vive nelle case, sulle tavole, e nella Festa del Pesce che ogni luglio riporta la comunità al fiume.

Ma c’è anche la storia, quella scritta. Dai banchetti rinascimentali dei Gonzaga – dove il Capocuoco Ducale Bartolomeo Stefani preparava pasticci di luccio e torte salate che sembravano architetture – ai manoscritti monastici che parlano di “luzo in brazole” servito ai frati nel 1723.
Persino San Francesco pare ne fosse ghiotto: si racconta che a chi gli offriva luccio, rispondesse “Sia fatta la volontà del Signore. Ma se avanza un pezzo, lo gradisco.”

Il luccio e il fiume: storie d’acqua dolce

Il Comune di Rodigo, di cui Rivalta è frazione, ha avuto l’intelligenza di legare questa eccellenza gastronomica al riconoscimento De.Co. – Denominazione Comunale – che tutela, valorizza e racconta. E che oggi ha permesso di scrivere un disciplinare raccogliendo memorie, gesti e segreti che rischiavano di perdersi.

Cucinare il luccio in bianco o in salsa non è un vezzo rétro. È un atto di responsabilità verso una cultura che si è fatta cibo. È un gesto di rispetto verso un territorio che, pur silenzioso, ha molto da dire. Ed è anche, diciamolo, un piacere intenso per chi ha la fortuna di assaggiarlo.
Perché il luccio alla rivaltese non è moda, ma memoria. E la memoria, se sa di buono, è destinata a durare.

a cura di

Ilenia Martinotti

Nel marketing e comunicazione digitale con un cuore che batte per il cibo! Curiosa di natura, sempre alla ricerca di nuove storie da raccontare e sapori da scoprire.
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