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Il made in Italy al Caffe Scala dopo il Don Giovanni

12/12/2011

Il made in Italy al Caffe Scala dopo il Don Giovanni
Dov’è oggi il made in Italy? Ci pensavo mercoledì scorso, mentre cercavo di crearmi un varco tra una folla immobile e composta che non mi sarei aspettata, in piedi davanti ai maxischermi allestiti in Galleria Vittorio Emanuele a Milano, aspettando l’inizio della prima del Don Giovanni. Non una partita di calcio, ma Opera.
Ho pensato di trovare una delle risposte principali alla Società del Giardino, dove si stava organizzando la cena di gala del dopo teatro, conoscendo meglio i partner dell’evento: Bellavista, Ferrarelle, Gobino, Kimbo, quattro storiche aziende che hanno fatto, ognuna nel proprio settore commerciale, dell’eccellenza italiana coniugata a storie personali di dedizione al lavoro il miglior biglietto da visita per farsi - e farci - apprezzare nel panorama socioeconomico internazionale.
Poi però ho sentito queste parole provenire dalla bocca di Alessandro Caccia, uno dei dieci sommellier dell’AIS di Brescia delegati per la serata: “scelta vocazionale”. E ho capito che il made in Italy, oltre ad essere tra i primi tre marchi più famosi al mondo, è prima di tutto un atteggiamento.
Come ci dimostra la disponibilità nel raccontarsi, nello spiegare le ragioni di un lavoro che richiede impegno e disciplina, di Maurizio Riva e di Salvatore Quartulli, nell’ordine capo cuoco e direttore generale di Caffe Scala, la società organizzatrice della cena. “Faccio il cuoco da 20 anni ed è un mestiere che per caratteristiche intrinseche richiede umiltà. Adesso invece in TV son tutti «Chef», ma non conoscono nemmeno i tempi di cottura di un arrosto” commenta Riva. “Cuochi capaci però se ne trovano ancora, molti lavorano con partita IVA… invece per il personale di sala si fa più fatica: il maitre e il cameriere non vuole farli più nessuno, purtroppo.” Dei 40 camerieri selezionati con cura per la serata, alcuni sono habituè, altri sono occasionali, per qualcuno è un doppio lavoro. L’Italia è anche questa: eserciti di doppiolavoristi per necessità e per passione.
Ed è innovazione: “Ci stiamo specializzando nell’alta cucina sottovuoto e nella bassa temperatura, avvalendoci della collaborazione del bravissimo Antonio Poli, cuoco già collaboratore di Gualtiero Marchesi e stimolando la curiosità anche della grande distribuzione” racconta Quartulli; nasce così  il progetto «Cena Blu di Caffe Scala», una linea di piatti cotti sottovuoto pensati per offrire al consumatore la possibilità di fruire a casa propria dell’alta cucina senza conservanti e con qualità organolettiche e nutrizionali inalterate.
Rieccolo allora il made in Italy, nel metodo di lavoro che fonde studio, esercizio, applicazione e sperimentazione. Rieccolo nel rispetto, nell’attenzione allo spreco (cucinando esattamente il numero di piatti equivalente al numero degli ospiti della serata, facendo attenzione a non aprire nuove bottiglie di vino se ce ne sono già di iniziate, realizzando piatti di scena veri e consumati realmente nel retropalco). Rieccolo in quelle centinaia di persone concentrate in Galleria, in quelle 35.000 che hanno visto il Don Giovanni nei cinema e nei teatri, e in quei milioni di telespettatori che se lo sono gustato dalle proprie case. Rieccolo nell’Opera, patrimonio italiano che esiste da secoli, nella quale c’è molto se non tutto e che fa parte del nostro quotidiano con espressioni e modi di dire che magari ignoriamo. Rieccolo nella frase che Giorgio Napolitano ha pronunciato l’altra sera, alla fine della rappresentazione: “La cultura aiuta l’Italia”. In particolar modo se diventa accessibile non solo a una piccola elite, che si tratti di musica o di cucina. Perché il made in Italy, se non ho preso un grosso abbaglio, è alla fine dei conti la somma delle “scelte vocazionale”di ognuno di noi.

Alessandra Locatelli
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