L’olio extravergine d’oliva italiano sta vivendo il suo rinascimento con l’impegno di molte associazioni a fianco dei produttori che hanno deciso di resistere in tutti questi anni nella difesa di un prodotto che, forse più di altri, rappresenta pienamente un’idea dell’Italia nel mondo.
È di pochi giorni fa la presentazione del manifesto di Slow Food in difesa dell’olivicoltura italiana, riassunto in questi sette punti:
• noi affermiamo che l’olio è un prodotto agricolo e come tale è subordinato alla/e varietà coltivata/e, alle peculiarità dei terreni e dei climi, alle tecniche produttive che ne influenzano e ne sanciscono l’individualità. Quindi è nel luogo di produzione agricola, inteso come territorio, che si deve svolgere l’intero ciclo di filiera, dall’oliveto alla bottiglia, all’interno di un sistema di relazione tra olivicoltori e frantoiani;
• facciamo appello a che la filosofia produttiva e di consumo privilegi la qualità e l’origine, unico modo per distinguere i nostri oli dal prodotto anonimo e omologato che domina il mercato italiano dell’extravergine. Solo così la grande biodiversità di cui è costituita l’olivicoltura italiana può risultare vincente;
• vogliamo difendere un’olivicoltura attenta alla tutela dell’ambiente e del paesaggio (non si può alienare un capitale così importante e simbolico) e capace di valorizzare il ricco patrimonio varietale del nostro Paese;
• affermiamo che gli oli extravergini devono essere organoletticamente pregevoli, in grado di valorizzare le differenze varietali, indissolubilmente legati alle origini e quindi al territorio di provenienza. I parametri di qualità per “l’olio agricolo” non possono essere legati solo a risultanze analitiche, ma dovranno comprendere attributi che riguardano il tracciamento della storia produttiva dell’olio lungo la filiera;
• ci impegniamo attraverso l’attività educativa e la comunicazione a sviluppare e/o ricostruire la cultura dell’olio, in linea con i concetti sopra espressi;
• invitiamo tutti coloro che utilizzano quotidianamente l’olio (dai cuochi alle massaie, alle mense scolastiche, agli ospedali, ...) a sostenere le ragioni di questo manifesto, ponendo in essere abitudini di acquisto consapevoli, che distinguendo tra prodotto industriale e prodotto agricolo favoriscano quest’ultimo;
• noi saremo al fianco dei produttori che vorranno attivarsi in difesa di una produzione etica che sappia valorizzare il ruolo e il prodotto dell’olivicoltura italiana con le sue molteplici identità territoriali.
Negli stessi giorni il CNR, in collaborazione con un gruppo di imprenditori del settore e grazie al finanziamento del progetto da parte del Ministero delle Politiche Agricole, ha presentato il progetto della carta d’identità dell’olio extravergine d’oliva. Nella carta d’identità, oltre ai dati anagrafici dell’olio (produttore, luogo di origine), sono riportati i risultati di un’analisi calorimetrica, che “fotografa” in modo univoco e inalterabile il campione analizzato. Il tutto viene raccolto e archiviato in una banca dati consultabile in rete direttamente sul portale
http://www.guidaolio.it/.
“La carta di identità – spiega Mario Guidi, presidente di Confagricoltura – viene proposta come un vero e proprio documento di riconoscimento da applicare alle bottiglie di extra vergine presenti sugli scaffali dei nostri negozi. Uno strumento semplice, a disposizione del consumatore, per la tracciabilità del prodotto e che potrebbe consentire la scoperta di eventuali frodi. E per i produttori un metodo efficace per promuovere la qualità del proprio olio”.
Il problema della tracciabilità è indubbiamente avvertito come prioritario se, come rileva Coldiretti, In quattro bottiglie di olio extravergine su cinque in vendita in Italia è praticamente illeggibile la provenienza delle olive impiegate, nonostante sia obbligatorio indicarla per legge in etichetta dal primo luglio 2009, in base al Regolamento comunitario N.182 del 6 marzo 2009. Argomento scottante che mette in risalto le difficoltà per il consumatore a muoversi in un mercato in cui le importazioni di olio d’oliva superano la produzione nazionale: 564 milioni di chili contro 500 milioni di chili prodotti in Italia.
A Laura Turri, piccola produttrice gardesana e presidente dell’Associazione Donne dell’Olio, abbiamo chiesto cosa serve per una chiara informazione, visto che il consumatore generalmente non riesce a percepire il lavoro che sta dietro alla produzione dell'extra vergine e di conseguenza non si orienta nell'ampia forbice di prezzo.
“Se ci fosse una coesione, all’ interno del mondo produttivo, allora sì che si potrebbe fare una sana cultura dell’ olio. Ma non basta la sola coesione, occorrono anche delle idee forti. La cultura va vissuta ed espressa a partire da un progetto, da un pensiero a monte. Non si fa cultura ripetendo stancamente la solita cantilena. La cultura è creatività e invenzione di nuovi linguaggi. Purtroppo, c’è da rilevare che il consumatore è spaventato dalle continue cattive notizie su truffe, sofisticazioni e raggiri. Èmun problema di comunicazione, evidentemente; perché fa più presa parlare di scandali che non di azioni virtuose o di aziende che lavorano bene. D’altro canto, è noto come faccia più rumore un albero che cade piuttosto che una foresta che cresce. Dobbiamo fare in modo di promuovere una sana cultura dell’olio e di rassicurare nel contempo il consumatore terribilmente disorientato anche dalla grande differenza di prezzo tra prodotti in sottocosto e prodotti proposti al prezzo giusto. L’aspetto più difficile è far comprendere che sulla qualità non si scherza: tutto ciò che è buono ha un prezzo, meglio diffidare dai prezzi bassi. L’esperienza del vino al metanolo insegna. Per questo massima attenzione alle offerte. L’olio buono in Italia c’è, anche perché ci sono buoni produttori e brave aziende che in silenzio, con fatica e con passione lavorano e ricevono il riconoscimento da parte dei consumatori. Abbiamo però bisogno che venga portata in evidenza questa realtà olivicola e olearia, quella sana, perché solo così possiamo ridare fiducia ai consumatori, aiutandoli a capire anche il vero valore di un olio extra vergine di oliva.”
Ma come si riconosce un buon olio extravergine d’oliva? Lo abbiamo chiesto a Lucio Pompili, patron del Symposium Quattro Stagioni di Cartoceto (PU), terra di produzione dell’extravergine Cartoceto DOP, a sua volta piccolo produttore.
“Un buon olio extravergine di oliva, si ricava, a giusta maturazione delle drupe, da una raccolta veloce, attenta e manuale, facendo passare meno tempo possibile dalla raccolta alla frangitura. Nella nostra DOP CARTOCETO, le olive raccolte di giorno vengono frante la notte stessa. Strano ma vero, quando ci fermiamo a far benzina in autostrada e rabbocchiamo l'olio del nostro motore, siamo disposti a spendere qualsiasi cifra, perlomeno quello che ci chiedono. Per la nostra salute sembra che non siamo disposti a spendere più di 3 euro al litro, ma ammettiamo che dal punto di visita nutrizionale sia già il massimo. Tutte le cose di buon gusto hanno un valore, meno l'olio. Ne consumiamo 30 grammi al giorno, cioè il costo di una sigaretta. È ora di lavorare più seriamente, sul brand e sul marketing; certo che se, come in Francia per il vino, il catasto dei terreni diventa catasto agricolo, i cru sarebbero riconoscibili da soli. Per quanto riguarda l’olio che mi produco da 700 piante per autoconsumo, spendo circa 11,80 al kg di media annuale. A quanto andrebbe venduto? Intanto me lo godo al gusto”.
La comunicazione è dunque il problema più serio per questo prodotto del made in Italy, ma di comunicazione se ne fa.
Come abbiamo visto si moltiplicano le azioni a sostegno dell’olio extravergine d’oliva ma la sensazione è che non ci sia collegamento tra di esse, capace di fare massa critica per affermare l’immagine di prodotto italiano sul mercato nazionale ed internazionale.
“Con tutta sincerità, diventa alquanto difficile fare massa critica con un comparto estremamente diviso e perfino conflittuale qual è quello dell’olio italiano. – afferma Laura Turri - Sono molte le associazioni di olivicoltori , diverse quelle che rappresentano i frantoiani, e diverse quelle che raccolgono gli imbottigliatori. Ci vorrebbe più unità e meno frammentazione. Senza un’azione coesa e condivisa non si ottiene nulla, ogni sforzo non conduce a risultati utili perché gli impegni di ciascuna realtà associativa non sono mai coordinati tra loro e talvolta si assiste ad azioni di contrasto e opposizione. Il nostro comparto olivicolo e oleario è fermo rispetto agli spagnoli, che invece hanno acquisito forza e determinazione, e muovendosi compatti stanno crescendo ed estendendo i loro mercati, senza che nessuno da noi si preoccupi, sul piano operativo, di essere parte attiva in questo radicale cambio di scenario”.
Confidiamo nelle parole di Roberto Burdese, presidente di Slow Food Italia, che ha dichiarato che ci saranno “una serie di eventi organizzati da Slow Food per promuovere il manifesto, a partire dalla Festa dell’agricoltura locale e dei 25 anni dell’associazione Slow Food Italia, il 18 giugno, quando in 300 piazze della penisola inviteremo quanti vorranno appoggiare l’iniziativa firmando il manifesto”. Sarà una data importante, un nuovo rinascimento per un’ Italia che il mondo identifica sempre più con le eccellenze della sua terra.
Luigi Franchi
[nggallery id=14]