Ogni estate, un profumo dolce e inebriante invade le nostre cucine e le campagne: è il melone che, sotto la scorza retata o liscia, racchiude molto più di una semplice delizia. In particolare, il Melone del Contado Rodighese, con Denominazione Comunale (De.Co.), è un simbolo di identità territoriale che racconta secoli di storia, cultura e gastronomia del cuore mantovano.
Un viaggio millenario: la storia del melone
Originario dell’Asia, tra il Caucaso e l’Iran, il melone è tra i frutti più antichi coltivati dall’uomo. I Sumeri lo conoscevano già tremila anni fa, e nell’epopea di Gilgamesh è citato tra le ghiottonerie dell’eroe. Era ricercato anche dagli Ebrei durante l’esodo, che ne rimpiangevano l’abbondanza in Egitto. Nell'antica Roma, Apicio suggeriva di servirlo crudo con una salsa di pepe, mentuccia, miele e aceto; Plinio lo chiamava “popone”, termine ancora vivo nel Sud Italia.
Dopo la caduta dell’Impero Romano, Carlo Magno ne riprese la coltivazione, mentre Marco Polo lo descrisse come “più dolce del miele” una volta essiccato al sole. E proprio nel Rinascimento, grazie ai banchetti raffinati dei cortigiani, si diffuse l’abitudine – già citata da Platina – di iniziare i pasti estivi con mele, pere, fichi e meloni, considerati eccellenti stimolanti della digestione. Una tradizione raffinata e saggia, che oggi potremmo rileggere anche in chiave funzionale.
Nel Mantovano la sua presenza è documentata sin dall’XI secolo. Affreschi nella chiesa di Santa Croce a Sermide lo raffigurano insieme a zucche e uva. E nel 1479, una lettera indirizzata ai Gonzaga sconsigliava vivamente di procurarsi meloni da Ferrara, sostenendo con fiero campanilismo la superiorità dei frutti di Sermide.
Oggi, il Melone Mantovano è tutelato dall’Indicazione Geografica Protetta (IGP) e rappresenta una delle punte di diamante dell’orticoltura nazionale.