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Il miele in tavola: tra scarsa conoscenza e maggior sensibilizzazione

13/05/2025

Il miele in tavola: tra scarsa conoscenza e maggior sensibilizzazione

Il mondo delle api e di riflesso anche quello del miele vedono un interesse crescente da parte dei consumatori, che negli ultimi anni sono stati sensibilizzati sul tema degli insetti impollinatori e sulla loro importanza per l’ecosistema. Sebbene la strada da compiere per preservarli davvero sia ancora lunga, passando necessariamente da politiche agricole più efficaci, anche in cucina e nel mondo dell’ospitalità si è assistito a un vero cambio di marcia. In primis con la valorizzazione dell’ingrediente, utilizzato non solo nei dolci ma anche in abbinamento con formaggi, carni, verdure e persino nei cocktail. Non più solo "il miele", perché è crescente l’interesse verso i mieli monoflorali o di specifiche aree geografiche, e spesso la narrazione lo lega alla filosofia del locale promuovendone la sostenibilità e la territorialità. In cucina è oggi più comune incontrare piatti che esaltano il miele in abbinamenti inaspettati, non certo usato come dolcificante ma come ingrediente complesso, con sfumature aromatiche sorprendenti. Allo stesso modo si sono moltiplicati eventi e iniziative dove api e miele sono protagonisti, a partire dal format Mielerie aperte di Unapi, rete nazionale di associazioni di apicoltori: il 18 maggio, vigilia della Giornata Mondiale delle Api, è in programma la seconda edizione di questo progetto di comunicazione che s’ispira a Cantine aperte e Frantoi aperti, offrendo la possibilità di entrare in contatto con il mondo dei produttori e scoprire il loro lavoro (il 16 novembre è invece prevista l’edizione invernale).

Per questo appare sensato chiedersi come proporre al meglio il miele nel contesto di ristoranti e alberghi, partendo dall'importanza per i professionisti di conoscere il prodotto per riuscire davvero a valorizzarlo. Entra qui in gioco l'analisi sensoriale del miele, che se fino a poco tempo fa risultava d’interesse esclusivo dei produttori ora attrae sempre più curiosi, non solamente tra i professionisti del food: “Molti si aspettano un consiglio semplice su come si valuta la qualità del miele e anche su internet ci sono vari test. Peccato che siano tutte sciocchezze, perché un approccio superficiale non aiuta, mentre lo fa una conoscenza approfondita”.
 A sostenerlo è una delle principali esperte di analisi pollinica e sensoriale del miele, la biologa bolognese Lucia Piana, che ormai da qualche decennio studia i prodotti delle api e fa formazione in tal senso: “Da consumatori, pensiamo a quanto risulta più difficile essere ingannati sui prodotti tipici. Se conosci quel prodotto e lo compri in loco riesci a comprenderlo e valutarlo da tutti i punti di vista, mentre l’acquirente che viene da lontano non è altrettanto esigente. 

Il miele in tavola: tra scarsa conoscenza e maggior sensibilizzazione

Conoscenza non vuol dire per forza quella accademica, ma quotidiana, e già solo l’abitudine al consumo è importante. Sul prodotto miele i più hanno delle idee preconcette, ovvero considerano ‘non genuino’ tutto ciò che differisce da ciò a cui sono abituati. Invece il miele ha una grande variabilità ed essere aperti è un primo grande consiglio”. Confidando che i nostri lettori abbiano una mente aperta, partiamo dalle regole base per comprendere questo prodotto così particolare: “Quando ho poco tempo per parlare del miele - spiega Lucia Piana - mi concentro sulla sua origine, ovvero su come nasce. Le api vanno sui fiori e raccolgono nettare e polline, poi lo concentrano per renderlo conservabile. Quindi l’ape non ha ‘prodotto il miele’, ma ha raccolto una materia prima vegetale che viene dall’ambiente e dalla varietà dei fiori che ci possono essere in quella determinata area. Dal punto di vista compositivo potremmo dire che è acqua e zucchero, ma è come se considerassimo il vino acqua e alcol. Quindi il valore del prodotto è proprio nell’origine, dato che viene semplicemente spostato dall’alveare al vasetto”. Un’osservazione tanto lineare quanto spiazzante, soprattutto visti i dati che emergono sull’importazione di miele nel nostro Paese.
Da un’indagine di ISMEA del luglio 2024 risulta che le quantità importate in Italia, tra l’altro a prezzi eccessivamente bassi, sono superiori a quelle prodotte.

Il miele in tavola: tra scarsa conoscenza e maggior sensibilizzazione

Un problema può essere l’assenza di distinzioni in etichetta per il miele che non ha subito alcun trattamento, rendendo difficile per il consumatore capire cosa sta acquistando. Sarebbe come eliminare la differenziazione tra oli EVO e non EVO. Poi è evidente che la filiera breve sia meno controllata, quindi risulta più facile frodare, però è altrettanto vero che nelle filiere controllate è impossibile distinguere il miele lavorato (ad esempio quello sottoposto a pastorizzazione): “Uno dei preconcetti più diffusi è che il miele è cristallizzato perché c’è lo zucchero dentro. Assolutamente falso! Tutti i mieli in un tempo relativamente breve solidificano. In realtà quella è quindi un’indicazione di autenticità, ma anche qui una conoscenza superficiale non basta. Un miele liquido appena prodotto va bene, d’estate saranno tutti allo stato liquido. Man mano che si avanza verso l’inverno però la maggioranza dei monoflorali cristallizza, ma non tutti. Insomma è finita che la praticità ha modificato il mercato, arrivando addirittura a mieli che si spremono. Ci sono poi i mieli aromatizzati che aumentano la confusione riguardo la natura del prodotto: quello non è miele, ma un trasformato. Il miele con la fragola, di colore rosa, rimane miele nel percepito del consumatore, che ne fa lo stesso uso. Eppure non è miele e ne erode il mercato”.

Se da un lato le logiche di marketing spingono varianti più versatili e remunerative, dall’altra anche la dottoressa Piana ammette che ci sono segnali incoraggianti: “Nei corsi di assaggio capita più spesso che vengano persone non legate all’agricoltura. Nelle scuole il mondo delle api è sempre piaciuto, ma ora si fa di più e questo vale anche per gli istituti alberghieri. Vale pure per la ristorazione e nelle formazioni professionali si sta percependo un interesse crescente. L’ultimo studio sul miele che ho letto evidenziava però che solo il 25% delle famiglie italiane lo consuma regolarmente, gli altri lo utilizzano in modo occasionale. Un consiglio per chi acquista? Se qualcuno ti racconta di avere le api e venderti il suo miele, non è detto che sia vero. Cerca di conoscerlo, è sempre bene andare a vedere come lavora il produttore. Meglio quindi non saltare da un apicoltore all’altro ma cercare di creare un rapporto che consenta di conoscere sia lui che i suoi prodotti. Con l’esperienza si può diventare in grado di giudicare”.

a cura di

Michele Bellucci

Giornalista-contadino, scrive di cultura ed enogastronomia per Il Messaggero e nel 2019 ha creato una Fattoria didattica in Umbria. Formatore in comunicazione e marketing. È Sommelier, Degustatore di olio EVO, esperto di analisi sensoriale del miele.
 
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