C’è una categoria produttiva che, non essendo un codice Ateco tra quelli previsti dai ristori del governo, sta soffrendo particolarmente questa crisi pandemica: è quella dei distributori per la ristorazione, circa 4.000 aziende che, ogni giorno, portano le materie prime nelle cucine dei ristoranti e delle pizzerie italiane. Un pezzo importante di quella filiera della ristorazione di cui si è parlato nell’assemblea FIPE di qualche giorno fa senza neppure citarla. Eppure, logica vorrebbe che la domanda su come arriva il cibo sulle tavole dei ristoranti dovrebbe farsela.
Ora, oltre al danno, la grande beffa di cui parliamo con Benhur Tondini, amministratore dell’azienda F.lli Tondini srl di Cavriana (MN), che opera con la ristorazione tra il lago di Garda Bresciae Verona, un territorio altamente turistico che, quest’anno, ha pagato pesantemente la mancanza degli stranieri.
“Qui siamo in zona rossa e, per la seconda volta in un anno, i nostri fatturati sono crollati del 90%, però sembra che a nessuno importi delle nostre aziende che danno lavoro a decine di famiglie. – afferma Benhur Tondini – A nessuno importa salvo poi ricordarsi di noi al momento del bisogno come nel caso del Fondo Ristorazione lanciato dal ministro delle Politiche Agricole, Teresa Bellanova. Un’iniziativa utile, interessante e bella per le produzioni italiane, ma dietro a questo Fondo c’è la parte burocratica che i ristoratori e gli chef non sempre sono in grado di sostenere. E qui entriamo in gioco noi distributori, che abbiamo le aziende ridimensionate o chiuse e che, per restare al servizio dei ristoratori, abbiamo messo a disposizione il nostro personale a costo zero per i nostri clienti, ma non certo per le nostre aziende, affinché possano avere tutta la documentazione, in brevissimo tempo, gli otto giorni di apertura per le domande dal 20 al 28 novembre, per accedere al fondo. Cosa comporta questo? Che le nostre aziende devono spulciare i documenti di acquisto o le fatture dal 14 agosto in poi, individuare quali acquisti hanno fatto i ristoratori dei prodotti facenti parte dell’elenco del decreto, chiedere ai fornitori un documento che certifichi che i loro prodotti sono interamente di filiera italiana, inserire una sigla che li identifichi nel nostro gestionale di oltre 4.000 referenze, fornire al ristoratore un tabulato con quantità e importi relativi ai prodotti, fornire una quietanza certificata di quei prodotti per permettere loro di inoltrare la domanda sperando che vada bene. Un meccanismo assurdo, di cui non si parla, e che vede la categoria dei distributori sempre presente per i propri clienti ristoratori senza però essere presa in considerazione da nessuno quando chiede aiuti sacrosanti”.
Un Fondo, aggiungiamo noi, che deve essere speso entro la fine dell’anno, altrimenti, come ha detto la Bellanova all’assemblea FIPE, quei soldi ritornerebbero nelle disponibilità del ministero dell’economia. Come dire, guardate che è solo grazie a me che esiste questa possibilità. Bel modo di intendere la filiera della ristorazione come strategica per un segmento, quello dell’agricoltura e del turismo che sono assi portanti del sistema Italia.