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Il Padiglione Zero di Expo 2015

18/02/2015

Il Padiglione Zero di Expo 2015
Davide Rampello è, prima di ogni altra qualifica della sua sterminata carriera, un innovatore. Lo è stato agli inizi delle cosiddette televisioni libere, negli anni ’70; ha lasciato un segno importante come presidente della Triennale di Milano e come curatore del Padiglione Italia all’Expo di Shanghai nel2010. Lo è come ideatore del Padiglione Zero di Expo Milano 2015 e come libero pensatore nei temi attinenti al cibo che affrontiamo in questa intervista, realizzata presso il ristorante Larte di Milano, di cui è presidente.
Partiamo dal Padiglione Zero; come è nata l’idea e cosa sarà?
“È il padiglione di apertura, posto all’ingresso di Expo, dove transiterà il 70% dei visitatori, con una superficie di circa un ettaro. Uno spazio che mette in scena il tema dell’Expo: Nutrire il pianeta, energia per la vita. Affrontarlo significa affermare che il cibo è la prima cosa di cui si occupa l’homo sapiens e questo determina un’avventura formidabile in cui l’uomo crea tutto quello che noi oggi conosciamo. Attraverso questo nasce il linguaggio, a differenza degli animali; entrambi vanno a caccia ma, mentre l’animale mangia la preda e poi dorme, l’uomo la mette al sicuro e poi disegna, descrive ciò che ha fatto. Avverte la necessità di dare un nome alle cose. Nascono così i sensi, la sacralità dei gesti, il prendersi cura di capire le cose, attraverso questa avventura in cui l’uomo, per centinaia di migliaia di anni, esercita fondamentalmente due arti: la caccia e la pesca, oltre a quella minoritaria della raccolta, e inizia a creare strumenti. Dopo il lunghissimo periodo migratorio l’uomo decide di fermarsi e aggiungere altre due discipline, frutto del concetto di addomesticazione, portare ad domus, nasce il concetto di luogo tramite l’addomesticazione e l’allevamento. La conoscenza approfondita del luogo l’uomo seleziona sementi e animali, costruendo cultura e civiltà. Nullus enim locus sine genius est, diceva Servio: non esiste il concetto di luogo se non esiste il genio, ovvero la conoscenza del luogo. Questa è la partenza di tutto perciò possiamo dire che la necessità di procurarsi cibo è la molla su cui l’uomo costruisce la sua storia; da qui nasce l’economia, il risparmio che lo porta a preservare le eccedenze, nasce il commercio e, per traslato, l’alimentazione non rimane solo fisica ma diventa spirituale e intellettuale. Il padiglione Zero racconta tutto questo”.
Un viaggio straordinario che arriva ai giorni nostri, attraverso il coinvolgimento di molte figure professionali…
“Quando mi è stato affidato l’incarico ho scritto il progetto che si articola in dodici grandi tappe. Successivamente ho chiesto un disegnatore perché sentivo la necessità di fermare ciò che avevo ideato, una visione che andava concretizzata, disegnata e progettata. Perciò, dialogando con Michele Tranquillini, disegnatore del Corriere, nasceva un ulteriore riflessione. Con le tavole sono andato da Michele De Lucchi, architetto, e Giancarlo Basili, scenografo, a cui ho chiesto di iniziare a pensare ad un grande archivio della memoria, idealmente un archivio che contiene tutte le storie del mondo, dando a loro un imprinting preciso al fine di rendere ancor più efficiente l’enorme lavoro che ci aspettava. Non ho usato nessuna interattività ma ho giocato invece sull’emozione nel senso profondo della parola: emovere, mettere in movimento i sensi delle persone, in modo che siano più ricettivi e possano memorizzare di più, facendo diventare il tutto memorabile, impresso nella memoria. Tutto questo implicherà il lavoro di scultori, scenografi, ebanisti, fabbri, per cui sarà un percorso dentro la meravigliosa abilità dei nostri artigiani”.
Come viene interpretata la contemporaneità del cibo?
“Partendo dalla grande frattura: l’industrialismo. Che viene raccontato realizzando un plastico di 400 metri quadrati dove ci saranno rappresentate, tra le diverse realtà: il villaggio industriale di Crespi d’Adda, le miniere tedesche, i macelli di Chicago, i campi inglesi, le pampas argentine, fino agli anni ’40. Tutto funzionante. L’oggi del cibo è invece sintetizzato in una grande borsa alta 13 metri per 20, su cui scorreranno la quantità di cibo che si produce, i prezzi ecc… Alle spalle una superficie in cui verrà proiettato un film, a cui sta lavorando lo storico del cinema Giampiero Brunetta, che ripropone tutte le scene dei film in cui è presente il cibo, dai fratelli Lumiere ad oggi. Un lavoro colossale che testimonia i mille modi in cui è stato raccontato il cibo. Di fronte una sala in cui ho fatto intagliare una fessura dove si vedranno le catastrofi del mondo –guerre, mutamenti climatici – e, nella superficie, una scenografica montagna di rifiuti a rappresentare lo spreco, la peggiore rappresentazione della vita contemporanea. Per non dimenticare. Alla fine volevo lasciare un segno positivo. In una stanza, in maniera circolare, saranno proiettati dodici ambienti dove il lavoro dell’uomo ha saputo creare un paesaggio armonico. Questo è realizzato insieme ad una straordinaria realtà produttiva italiana, la Ferrero. L’ultima stanza raccoglie cinque filmati di pochi minuti che raccontano la storia di cinque buone pratiche, fatte da altrettante persone che idealmente sono i nuovi eroi”.

Luigi Franchi
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