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Il sapore non è un dettaglio

14/06/2019

Il sapore non è un dettaglio

Sapóre (ant. o dial. savóre) s. m. [lat. sapor -ōris, der. di sapĕre «avere sapore»]. – 1. Ciascuna delle sensazioni specifiche del gusto, provocata dal contatto delle sostanze alimentari con i chemiorecettori linguali; si distinguono quattro sapori fondamentali: il dolce, che viene percepito con maggior sensibilità sulla punta della lingua, l’amaro, alla base, l’acido ai margini, e il salato in modo pressoché uguale su tutta la superficie gustativa. Più oggettivamente, il carattere organolettico proprio delle sostanze capaci di suscitare sensazioni gustative.
Questa è la definizione del sapore secondo la Treccani, a cui va aggiunto l’umami, il quinto sapore, venuto alla luce in Giappone, che significa ‘saporito’ e, secondo alcuni, un sesto, il grasso.
Sono gli elementi che, combinati o meno tra loro, danno il piacere del gusto a tavola. Definizioni a volte secolari che oggi, spesso troppo spesso, lasciano il posto a due elementi della cucina che stanno dominando - la tecnica e l’estetica - con cui invece dovrebbero interagire per rendere compiutamente piacevole lo stare a tavola.
Invece, nella creatività a volte esasperata di certi chef, il sapore non è tenuto nella giusta considerazione. Pensate alle volte in cui, al termine di un menu degustazione, non siete riusciti a trattenere il ricordo di un singolo piatto. Eccessivi ingredienti, abbinamenti di sapori, che se fossero semplicemente inconsueti andrebbe anche bene, sbagliati, non armonici, ma soprattutto assenza totale di sapori. Un utilizzo della tecnica esasperato, che porta ad annullare il sapore. Questo accade soprattutto nei nuovi piatti contemporanei, fatti da chef che non sono cresciuti con le basi storiche e tradizionali della cucina, quelle che hanno consentito, per lungo tempo, di risolvere i problemi che all’improvviso un cuoco deve affrontare.
È importante ritornare alle regole, e non per restare ancorati alle tradizioni, ma perché la cucina è regola, unita certamente alla creatività, ma con basi colte, con la competenza che deriva dalla conoscenza della materia prima.
Qualche grande cuoco sosteneva che in una ricetta ci devono stare solamente tre ingredienti per apprezzarne il sapore. Non sappiamo se questa sia una verità assoluta, ma sperimentando molte cucine, è la più vicina alla realtà.
È vero che il gusto è forse il più misterioso dei sensi, sicuramente il più individuale, e che mettere d’accordo su questo insieme di recettori che sono una miscela di componenti genetiche e influssi ambientali non è semplice, ma da qui a far uscire dalle cucine piatti in cui il gusto non è più l’elemento principale c’è un abisso.
Questa tendenza, in atto speriamo in maniera involontaria, è anche frutto di una scarsa abitudine dei commensali a riconoscere quando un piatto non è cucinato perfettamente e a dirlo, come è nel loro diritto.
Occorre maggior conoscenza e dialogo da entrambe le parti, sostituendolo alla supponenza e all’arroganza che stanno diventando, purtroppo, le regole in questo periodo.
“Il sapore è un concetto che si forma nel cervello”, lo dice William Yosses, un pasticcere americano, e questa affermazione ci trova molto d’accordo: è il sapere che muove il mondo, non la presunzione.

Luigi Franchi

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