Sandra Ciciriello non è il braccio destro di Viviana Varese, come si sarebbe portati a credere. Sandra e Viviana sono, insieme, l’unica anima di Alice Ristorante, come si capisce in ogni frase di Sandra, che si ascolterebbe parlare per ore. Il loro locale milanese - meritatamente neostellato - il 21 marzo ha compiuto 5 anni.
Tanti auguri Sandra e Viviana, continuate così.
- Sandra, come è la tua giornata tipo?
Mi alzo alle 5.30 per andare al mercato del pesce e della frutta. Ho lavorato al mercato ittico per venticinque anni, quindi ci tengo a scegliere di persona la materia prima. Torno dopo quattro ore, aiuto a scaricare poi mi dedico a tutto quello che ruota attorno al ristorante. Torno a casa la sera, e non dormo mai fino alla una di notte… lo so, dovrei dormire di più.
- Qual è il piatto a cui sei più affezionata?
Il piatto più buono è quello che ci assomiglia di più. Quando conobbi Viviana la sua cucina era ancora molto tradizionale, mi ricordo le polpette con il bianchetto, una volta provai a suggerirle di farle più piccole e lei accolse il mio consiglio e io continuai… perché non provi questo, non usi quello… Ci piace scherzare dicendo che la Varese l’ho scoperta io! La memoria invece va a tanto tempo fa, mia nonna, mia mamma e mia zia mi mettevano a tre anni a impastare il pane, e quegli odori, quei profumi, li ricordo come se fosse adesso. Mia zia mi manda ancora adesso la farina dalla Puglia: le orecchiette al ristorante le faccio io, sessanta al minuto!
- Vita professionale e privata vanno sempre d'accordo?
Adesso faccio in modo di sì. Ma per dieci anni vita privata zero. Era tutto da costruire, non trovavamo personale e per tre anni io e Viviana abbiamo abitato di fronte al locale. Poi abbiamo imparato a delegare e a capire che tutti siamo utili ma nessuno è indispensabile.
- C’è un incontro che ti ha cambiato la vita?
Il primo incontro significativo l’ho avuto con il mio Maestro, Felice Varano professione pescivendolo, il miglior commerciante di pesce di Milano: mio zio me lo ha presentato che avevo diciotto anni e gli ha chiesto di insegnarmi qualcosa del lavoro. Lui ha risposto “falla venire va” convinto che sarei scappata dopo due giorni, perché ero una donna. Invece mi sono innamorata di quel lavoro, è diventato la mia vita. Il secondo incontro che ha cambiato il corso degli eventi è stata Viviana, circa dieci anni fa: mi ero chiesta cosa avrei voluto fare da grande… aprire un ristorante. Volevo capire il lavoro dello chef, un amico mi parlò di Viviana e io andai a mangiare da lei in incognito. Scoprii una bella mano, esigente. Le parlai e lei mi mise tre settimane in cucina a schiavizzarmi! Poi una sera imprevista decise che io sarei stata in sala, e lei in cucina.
- Essere una donna che lavora cosa significa per te?
Fare la spesa è la mia vita. Toglietemi tutto ma non il mio mercato, non c’è grande distribuzione che tenga! Però adesso voglio avere più tempo per me e la domenica sera vado a ballare con gli amici. Da ragazzina ero una promessa del tango e del walzer, avrei potuto partecipare ai campionati ma non ci andai perché dovevo adeguarmi al look imposto, ma erano gli anni ’80, poco liscio e molto punk, così mi dissi: se sono brava, sono brava anche così!
- C'è più rivalità e invidia oppure sostegno e stima, tra colleghi/colleghe?
In una cucina di livello non credo ci sia invidia. O meglio, è più recepita che provata. Ognuno ha la propria espressione di pensiero. Di recente ho avuto l’onore di partecipare alla festa per i cinquant’anni di Aimo e Nadia: loro meritano stima e ammirazione, hanno creato un gruppo di lavoro che non ha eguali.
- Cosa occorre per lavorare in un ristorante?
Occorre sapere che fare questo lavoro non è affatto semplice. Tutti oggi vogliono essere superchef, ma ne vediamo tanti, uomini e donne, che pensano di arrivare chissà dove e si perdono per strada perché sono al centro dell’attenzione e questo prevale sul resto. Ed è indispensabile la squadra: se si litiga non si va da nessuna parte, è il gruppo che fa tutto, cucina e sala insieme. Viviana c’è sempre, io mi sento un po’ la capo branco; lo sanno in pochi, ma l’assaggiatrice ufficiale di Alice sono io… entro dal retro e mangio di nascosto! Il nostro segreto sta nella mania per la perfezione, nella qualità delle materie prime, e nel dare e ricevere grande fiducia.
- Pensi che una donna abbia bisogno di "inventarsi" qualcosa di particolare nel modo di porsi e/o di lavorare per rendersi più credibile?
Credo che più ci si inventi qualcosa per essere credibili e più si appare falsi. L’aspetto, per esempio, è importante anche in un ristorante, ma più che questo conta il comportamento. E poi una donna è bella perché è donna, e basta.
- Uomo forte/donna debole; uomo al lavoro/donna con i figli; uomo in carriera/donna che si accontenta: è ancora così? E, nel caso, come si va oltre?
Sono cresciuta in un ambiente molto maschile, venticinque anni fa le donne non c’erano al mercato del pesce. Mi sono trovata presto ad avere degli uomini alle dipendenze e spesso ho pensato di mollare tutto. È stato un inferno. Dovevo dimostrare continuamente di essere superiore, prima di testa che di forza fisica, comportandomi esattamente come loro. Ma gli uomini riescono a fare più squadra delle donne, noi invece siamo capaci di scontrarci anche con chi dovrebbe essere dalla nostra parte. Ancora oggi è così: come si va oltre? Giocando di intelligenza e sensibilità, solo così tutto si amalgama.
- Cosa pensi delle ipotetiche differenze tra la cucina maschile e femminile?
Leggo molto di questo e ci rido su: non è possibile che tutto ruoti attorno a questo. Mio padre era il mago dei fritti, mia madre faceva benissimo i sughi: ognuno ha un’espressione e un colore in cucina. Che poi alcuni uomini quando sanno fare qualcosa hanno bisogno di farlo sapere, e che a noi ce ne importa meno, sarà anche un po’ vero… (risata cristallina)
- Dove ti vedi tra 20 anni?
Su una bancarella del pesce a urlare Accattevillo o pesce fresco!
- Dov’è la felicità?
È nelle piccole cose che la vita quotidiana ci dà, ci gira intorno anche se non la vediamo. È andare a fare la spesa al mercato all’alba, anche quando non è facile. È un sogno che deve essere continuamente alimentato.
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Alessandra Locatelli