L’Italia pesa per il 56% sul fatturato dell’intera produzione a Denominazione d’origine della Comunità Europea. Sono 228 le produzioni italiane che si fregiano della denominazione, con un tasso di crescita nell’ultimo anno doppio rispetto al resto della Comunità Europea (15,4% contro il 7,4%).
Il caso più emblematico riguarda il settore dei formaggi, come rivela l’ultimo rapporto ISMEA che verrà presentato il 18 settembre a Bra, in occasione di Cheese. Con i suoi 42 formaggi DOP, IGP e la mozzarella STG garantisce una produzione di 450.000 tonnellate all’anno, ben lontana dal secondo paese, la Francia, che ne immette sul mercato 200.000. Questo dato attribuisce al nostro Paese un primato mondiale che però rischia di posarsi su gambe d’argilla se pensiamo alla grande frammentazione di imprese, prevalentemente di piccole e medie dimensioni che operano nel settore: circa 1700.
Se a questo si aggiunge che solo cinque formaggi rappresentano il 97% dell’export – Grana Padano, Parmigiano Reggiano, Pecorino Romano, Mozzarella di bufala campana e Gorgonzola – si palesa evidente il rischio che le piccole produzioni artigiane possano non farcela a resistere sul mercato.
Ben venga dunque un evento come Cheese che riesce a dar voce agli artigiani del formaggio, ai malgari, ai pastori. Ben vengano le iniziative come le locande del buon formaggio. Sono aprezzatissime le manifestazioni come quelle dei consorzi del Provolone, Parmigiano Reggiano, Asiago e Mozzarella che mandano in tour il gotha della ristorazione italiana a parlare di formaggi.
Ma è assolutamente indispensabile che tutte queste iniziative vengano ricondotte in un disegno comune che metta al centro il problema vero dell’impresa italiana, ovvero le piccole dimensioni, trasformandolo in un valore da tutelare ed esaltare: l’artigianalità delle produzioni, la manualità, i gesti antichi, i sapori irriproducibili.
Luigi Franchi