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In vino veritas?

13/08/2011

In vino veritas?
Una domanda: ma voi, quando assistite ad una degustazione enologica, non vi sentite un po' presi in giro? Non vi sembra che intorno al mondo del vino più che il profumo degli aromi si percepisca quello del business?
Gli esperti o presunti tali hanno pensato veramente a tutto. Il glossario del lessico scientifico enologico straripa di termini più improbabili e suggestivi.
Tutti d'accordo che non basta più dire rosso e bianco, ma con la scusa dell'esigenza di elevare la cultura del vino per valorizzare i nostri ineguagliabili “terroir” in quanti ci hanno marciato? Sentite questa...

Un po’ di tempo fa il Centro Studi Assaggiatori di Brescia, un'autorità istituzionale nel campo dell'analisi sensoriale, ha persino stabilito che anche il vino, come le persone, ha un carattere che può essere muscoloso o volgare, esclusivo, aristocratico o comune, da enoteca o da supermercato, da ristorante o da bere casa. Bella trovata “scientifica”, e così anche chi di vino non ne capisce nulla d'ora in poi potrà scegliere un vino “aristocratico” e fare la sua bella figura! Salvo che il vino aristocratico, per definirsi tale, avrà un costo a due cifre... Barrique oblige! Credo proprio che altri, come me, avranno un po' di nostalgia dei tempi dei nostri nonni, quando il rosso di trattoria, magari servito nelle ciotole di maiolica, si chiamava semplicemente nostrano o manduria e si tracannava. I tempi in cui la maggioranza era costituita dai bevitori e gli astemi rappresentava no un'esigua setta che si asteneva dal temetum (in latino = inebriante = vino puro) e da tutto il resto. Il bevitore riteneva l'astemio un essere eccentrico. Al contrario l'astemio definiva il bevitore scalando il climax: beone, ubriacone, alcolizzato. Salvo gli astemi, il resto degli umani proseguì il cammino tracciato dal padre Noè. E così via via si passò dal tracannare al bere, poi al gustare, indi al degustare. Si giunse al centellinare, al meditare con lunghi intervalli tra un sorso e l'altro. Non bastò il senso del gusto. Si arruolarono gli altri quattro sensi. Forse l'udito rimase in disparte, ma non è ancora detto. Il sesto senso non tarderà a prendere la scena. L'icona dell'assaggiatore è Antonio Albanese quando, roteando il bicchiere tenuto delicatamente per lo stelo alto quanto basta, riesce a farti annusare attraverso il televisore i profumi del sottobosco, l'aroma di fragola appena fuggito, l'afflato della verbena messa in castigo, la zampata del rosmarino e l'unghiata dello zafferano, senza far mancare la carezza ruvida degli speziati e l'ombra riportata dei profumi vanigliati. Sorvolando sull'immancabile solfito citato sulle etichette in 63 lingue, quasi fosse un saluto del papa Benedetto. In caratteri corpo quasi zero.

di Maurizia Martelli

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