Avete ottenuto fin dall’inizio fiducia da tutti, come te lo spieghi?
“Credo per la serietà del nostro cognome. E per la validità del progetto, anche se era ancora sulla carta. C’era un bisogno. Noi abbiamo cercato la risposta. Forse non è l’unica, ma almeno c’è. Anche la struttura del progetto ha giocato un ruolo importante che tu stesso hai provato. Non avere docenti fissi, se non per alcune materie, ma il meglio dei professionisti del settore che venissero a fare lezione ai ragazzi ha reso molto più dinamica l’attività in aula. Questo è un mestiere che si basa molto sull’esperienza di chi lo ha provato. Quelle esperienze noi le vogliamo trasferire ai ragazzi. In ogni modo possibile”.
Come è strutturato il corso?
“È aperto a 25 studenti, con otto mesi di aula e quattro di stage. Nel periodo di aula ci sono molti momenti di confronto e visita a manifestazioni, ristoranti, cantine e territori per scoprire il bello dell’Italia e di altre realtà europee. I ragazzi vivono a Castiglione in Teverina, nel campus, e condividono tutto il loro tempo insieme. Anche questa è formazione: del carattere, della condivisione. Forse è la parte più bella, all’inizio, difficile”.
Come scegliete i formatori?
“Quelli fissi da facoltà diverse che collaborano con noi: Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, Università Cattolica del Sacro Cuore, Università della Tuscia, Università del Sannio e La Sapienza di Roma. Poi ci sono i professionisti scelti tra chi vive la sala. Ogni lezione ha un argomento e il professionista segue il programma della scuola, con la sua prospettiva”.
E i ragazzi fanno un esame di ammissione?
“No. La regola è che devono essere diplomati, poi c’è un colloquio con noi dove valutiamo il reale interesse a fare questa scuola per diventare davvero professionisti di sala. Non abbiamo preso chi questo interesse non ce l’aveva dentro, ma considerava questo un tentativo come un altro per trovare lavoro”.