“I nostri clienti ci dicono spesso che gli sembra di arrivare in cima al mondo, quando approdano alla
Brinca. E noi rispondiamo loro che siamo contenti di stare qui e che siano venuti a trovarci” ci racconta il patron
Sergio Circella.
Siamo in quel di Ne, un piccolo comune su su in Val Graveglia, nell’entroterra del Levante ligure.
C’è stato un tempo in cui Ne era isolata, una sorta di mondo chiuso che disponeva di tutto il necessario al proprio interno (qui Tugnin, il nonno di Sergio aveva creato un frantoio, un mulino, una bottega e un’osteria, “una sorta di centro commerciale per quei tempi!”) poi sul finire degli anni 60 è arrivata la strada carrabile ed è cambiato tutto (“anche il centro di nonno Tugnin ha iniziato a sgretolarsi”). “ Mio padre Carlo con mamma Franca - ricorda Sergio Circella - hanno portato avanti solo l’attività di frantoio di olive in inverno e di piccolo commercio di ortofrutta locale d’estate, per cui compravano frutta e verdura dai contadini della Val Graveglia, la confezionavano e portavano ai mercati di Chiavari, Rapallo e Genova”. E continua “d’estate mi aggregavo anch’io, così mi sono fatto una cultura sui prodotti locali, che anni dopo mi sarebbe servita nel lavoro.”
Negli anni ‘80 le mutate condizioni di mercato hanno costretto la famiglia Circella- con i figli ormai in forza- a mettere in discussione le attività in corso e valutare altre possibilità. L’importante tradizione gastronomica raccolta da mamma
Franca, brava cuoca, in famiglia, la proprietà di una casa colonica a Ne con stalla, fienile, vigneto e uliveto, un orto e il poter contare sul supporto dei giovani figli hanno sospinto per l’apertura di una trattoria.
“Tutti i nostri beni li abbiamo investiti nella ristrutturazione della stalla e del fienile e dopo varie peripezie burocratiche abbiamo inaugurato la Trattoria Brinca Cucina Rustica” ricorda Sergio che, a distanza di tanti anni, ancora avverte tutto il rischio corso, intendendo peraltro proporre una cucina di campagna, fatta di piatti tradizionali di quella zona realizzati con prodotti locali, assolutamente sconosciuti a tutti coloro che vivevano fuori da quel comprensorio e in controtendenza rispetto a una nouvelle cuisine imperante in quel periodo.
“All’inizio mia madre - che ha sempre e solo aiutato la sua mamma nel preparare pranzi per riunioni di famiglia - ha coinvolto alcune cuoche esperte. Ne ha provata una, poi un’altra ma nessuna l’accontentava, precisa com’era. Così si è resa conto che preferiva gestire lei in prima persona. L’esperienza è durata pochi mesi! Sul far da mangiare per tanta gente è il caso di dire che ci siamo fatti da soli. Così come siam riusciti a dare un certo taglio alla trattoria dicendo no a determinate richieste quali il filetto, il pesce che non sono prodotti tipici della nostra terra” spiega Sergio.
“Ancora oggi - continua - a distanza di tanti anni, accade che bambini di allora che venivano con i loro genitori a cena nel nostro locale, ci facciano visita e gioiscano nel trovare quel piatto dopo tanti anni. E notare che spesso sono giovani padani. Mi gratifica il fatto di non avergli servito filetto o cotolette”.